Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


La battaglia salariale (1951)

In una riunione di partito alla quale ho partecipato e nella quale si è discusso della battaglia salariale intrapresa dalla C.G.I.L., il relatore ha sostenuto che si tratta di una importante battaglia che deve stare al centro di tutta l'azione del movimento progressivo e della pace. Mi pare che si tratti di una inesattezza che occorre chiarire perché la lotta centrale del nostro Partito è la lotta per la pace. (Anna Zanchini – Genova Pegli)

           Mi pare che il problema che tu poni sia originato dal fatto che consideri la lotta per la pace come una cosa a sé, non legata a tutti gli aspetti della realtà politica, economica e sociale del nostro Paese. La lotta per la pace non consiste e non può consistere soltanto nella raccolta delle firme, anche se questo è un aspetto essenziale di questa lotta, né può consistere soltanto nell'agitazione generica dei motivi che spingono alla richiesta di un governo di pace.
           Ogni azione che contribuisca a portare avanti il nostro Paese sulla strada del progresso civile, dello sviluppo sociale e dell'indipendenza economica, è l'azione per la pace. Così ad esempio la lotta che viene combattuta in difesa della stampa democratica è senza dubbio lotta in difesa della pace, poiché la stampa democratica è un formidabile strumento di smascheramento dei piani di guerra degli imperialisti e dei loro servi e al tempo stesso di mobilitazione di tutto il popolo. E ancora, la lotta per il Piano del Lavoro della C.G.I.L., che pone alla base dell'azione per la rinascita del Paese una serie di investimenti produttivi (contro gli investimenti di guerra) è una grande importantissima lotta in difesa della pace.
           Cosicché, infine, la lotta contro le sopraffazioni poliziesche, gli abusi e gli arbitri degli organi governativi, cioè tutte le lotte tese a difendere le libertà democratiche, sono a loro volta lotte per la pace, poiché tutti sanno che la prima azione di un governo il quale prepara la guerra è quella di soffocare e impedire tali libertà per privare i cittadini della possibilità di opporsi ai propri piani.
           In tal senso va dunque interpretata anche la lotta attualmente in corso per l'aumento dei salari e degli stipendi e per l'elevamento del tenore di vita del popolo italiano.
           Attualmente, infatti, il nostro paese è colpito da una gravissima crisi economica caratterizzata dalla crescente miseria del popolo, da una spaventosa situazione di sottoconsumo che isterilisce il commercio; mentre, d'altro canto, i profitti dei monopoli aumentano smisuratamente. Tale crisi è originata dal fatto che i monopolisti indirizzano la produzione non tenendo alcun conto degli interessi nazionali, ma, all'opposto, mirando solo ad ottenere i più alti profitti. E di fronte ad essa non sanno ormai che proporre il passaggio all'economia di guerra come l'unica possibile “soluzione”.
           Ma questa “soluzione”, come ha affermato Longo nel suo recente discorso ai “costruttori” della FIAT Mirafiori, non soltanto apre tragiche prospettive di guerra ma aggrava tutti i problemi economici del nostro Paese.
           Infatti una economia di guerra non potrà che sottrarre alla produzione dei beni di consumo anche quei pochi investimenti che attualmente sono assegnati. Tali investimenti sarebbero invece assegnati alla produzione di mezzi bellici, cioè di prodotti che non rientrano nel consumo della popolazione ma gravano invece sul bilancio dei cittadini attraverso il fisco. In tal modo economia di guerra significa, da una parte diminuzione dei beni di consumo di prima necessità e quindi aumento dei prezzi dei medesimi e dall'altra aumento delle tasse; quindi, in definitiva, oltre allo spettro della guerra, maggiore miseria e l'aggravamento dei problemi economici nazionali.
           La sola soluzione è invece quella di incrementare la produzione di pace e di allargare il mercato interno aumentando le capacità di acquisto del popolo.
           E' per questo che la battaglia impostata dalla CGIL per l'aumento del 15 per cento dei salari e degli stipendi, incidendo sui profitti monopolistici e impiegandoli in investimenti produttivi, è una battaglia di pace.
           Ed è per ciò che ritengo che il compagno il quale nella riunione cui hai partecipato metteva questa battaglia al centro dell'azione generale dei lavoratori per la pace avesse pienamente ragione.




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