Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Pubblicità sui giornali (1951)

Non riteniamo giusto che molto spazio prezioso che “l'Unità” potrebbe dedicare a problemi politici o ideologici o culturali venga assorbito dalla pubblicità. Dobbiamo lottare per controbattere la velenosa propaganda avversaria e perché per qualche milione all'anno rinunciamo ogni giorno a numerose colonne? (Giobargoli Gherardelli – Gottardi Macciò – Allestimento Navi “Ansaldo”)

           Il ragionamento che fate voi lo fanno, rovesciato, molti grandi industriali italiani e forse anche qualche agente di pubblicità. Proprio ieri abbiamo pubblicato un articolo del Direttore Generale amministrativo del nostro giornale, Amerigo Terenzi, nel quale vengono citate due delle ditte italiane che escludono “l'Unità” dalla loro rete pubblicitaria. Potrei citarvi molte ditte genovesi, alcune delle quali basano la diffusione dei loro prodotti essenzialmente sulla pubblicità, le quali hanno posto il veto ai loro agenti per qualunque contratto con il nostro giornale. Costoro sanno perfettamente che “l'Unità” è il giornale più diffuso d'Italia, sanno anche che larghissimi strati di consumatori dei loro prodotti si trovano proprio nelle masse popolari, pure rinunciano ad avvalersi di un efficace strumento per la loro propaganda. Evidentemente questi signori subordinano i loro immediati interessi – e potete immaginare facilmente quale sforzo sono costretti a compiere – alle loro valutazioni politiche.
           La pubblicità sul nostro giornale è certamente un importante fatto finanziario: non si tratta di qualche milione, cari compagni, si tratta di cifre rilevanti che hanno il loro peso nel nostro difficile bilancio economico. Ma l'aspetto finanziario non è l'unico, non è neanche il più importante della questione che avete sollevato, vi è appunto l'aspetto politico, come anche i nostri avversari ci ricordano.
           Il vostro ragionamento potrebbe essere valido per un giornale comunista pubblicato in un mondo socialista (difatti, ovviamente, la “Pravda” non ha alcuna pubblicità se non quella relativa agli spettacoli, il “Trud”, il grande organo dei sindacati dell'U.R.S.S., contiene solo pubblicità per libri e riviste), ma ha un fondo di settarismo quando si riferisce ad un giornale comunista che si muove in una società come è quella italiana di oggi.
           Avete mai considerato, compagni, come per la grande stampa borghese la pubblicità sia anche un mezzo di diffusione? Qui a Genova vi è un giornale che con gli annunci economici, ha costituito uno dei fattori per la sua diffusione. E' un giornale di proprietà di grandi industriali, che difende le posizioni della classe dominante, che è legato alla catena governativa e che, purtroppo, riesce ad arrivare anche nelle case di comunisti, di socialisti o di democratici, e quindi a contrabbandare la falsa propaganda avversaria, attraverso il veicolo della pubblicità commerciale.
           Il più grande giornale della borghesia italiana, il “Corriere della Sera”, usa questo veicolo su scala nazionale. Se è vero che la fattura di un giornale richiama la pubblicità è anche vero che la pubblicità contribuisce al potenziamento e quindi al miglioramento formale del giornale.
           Inoltre se il nostro giornale non avesse affatto pubblicità, non apparirebbe esso avulso da una realtà economica, non apparirebbe esso isolato nei confronti di tutti gli altri giornali? Quale prestigio, di fronte ai lettori non comunisti, che evidentemente ci interessano e che noi non intendiamo conquistare al giornale della verità, avrebbe un quotidiano che non riuscisse a raccogliere uno degli aspetti tipici della nostra attuale vita commerciale?
           Credete compagni, l'aumento della pubblicità sul nostro giornale va considerato anche come un aspetto della nostra crescente influenza fra strati sempre più vasti di lettori, elemento di cui, sia pure a malincuore, debbono tenerne conto anche i produttori di cui si è parlato sopra.




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