Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Il lavoro nel porto (1951)

La carenza del lavoro per il Ramo Industriale nel nostro porto è dovuta alla esosità del costo di mano d'opera oppure ad altre cause più profonde? (Silvano Meattini – portuale)

           Molto complessa è la questione da lei sollevata perché nella formazione dei costi delle riparazioni navali nel nostro porto intervengono elementi il cui peso economico è diverso non soltanto nei confronti di porti esteri concorrenti, ma anche nei confronti di altri porti nazionali.
           Nei confronti di porti esteri, intervengono fattori economici quali il maggior costo dei materiali necessari per le riparazioni navali (si tratta in media per il nostro Paese del 50 per cento in più), fattori monetari, particolarmente dopo la svalutazione della sterlina e fattori politici, specie nei confronti dei cantieri tedeschi che applicano il “dumping” (tariffe sotto-costo) allo scopo della ricostituzione delle clientele internazionali e soprattutto del loro potenziamento secondo le esigenze belliche del piano atlantico. Nei confronti dei porti nazionali giocano fattori particolari, quali ad esempio l'intervento nel mercato delle riparazioni per la marina mercantile delle officine di Spezia, Taranto, Napoli, Palermo, ecc., precedentemente destinate esclusivamente alle riparazioni per la marina militare, oggi estremamente ridotte.
           Tutto ciò pone le officine del ramo industriale del nostro porto in condizioni difficili, ma la caduta attuale delle medie della occupazione rispetto al periodo 1945-49 non è dovuta affatto al costo della mano d'opera. Questa leggenda dell'alto costo della mano d'opera portuale genovese è stata completamente sfatata dagli accertamenti fatti da una commissione mista di rappresentanti dei lavoratori, degli industriali e del Consorzio del Porto che, l'anno scorso, ha visitato numerosi porti europei ed ha rilevato, in una relazione ufficiale firmata da tutti, che sia per quanto riguarda i salari, sia per quanto riguarda l'assistenza sociale, i portuali genovesi sono ad un livello più basso di quello raggiunto dai loro colleghi dei porti esteri concorrenti.
           Sono gli industriali del porto di Genova che continuano ad attribuire ai lavoratori la responsabilità della caduta del carico di lavoro nelle officine di riparazioni navali, pur essendo essi i primi a non essere convinti di quanto vanno affermando. Lo scopo di questa persistente campagna contro i lavoratori è quello di screditare le loro organizzazioni e di distruggere una grande conquista dei nostri portuali: la Compagnia del Ramo Industriale.
           I padroni vorrebbero tornare al sistema delle cosiddetta libera scelta e libera contrattazione, per cui le ditte potrebbero assumere lavoratori, anche altamente specializzati, per la durata di una giornata come di un mese, da licenziare poi in qualsiasi momento, senza alcuna indennità.
           La causa della carenza di lavoro nelle R.I. è in fondo la stessa di quella che fa chiudere gli stabilimenti di altra natura e che fa aumentare paurosamente la curva della disoccupazione in Italia; è la mancanza di una qualsiasi politica produttivistica nazionale. Nel settore marinaro la causa della disoccupazione dei lavoratori legati all'economia mercantile – operai, tecnici, marittimi – è la mancanza di una politica marinara nazionale, è l'invasione nel nostro porto di navi straniere che, ovviamente, effettuano le riparazioni nei loro porti d'armamento. Al posto del “Rex” o del “Conte di Savoia” attraccano oggi alla Stazione Marittima i grandi transatlantici americani “Indipendence” e “Costitution”, mentre il piano Roveda, che contiene gli elementi fondamentali per una ripresa dell'attività della marina mercantile e quindi anche delle nostre officine navali, giace negli uffici del Parlamento, sepolto insieme con le speranze di coloro che hanno creduto nei programmi elettorali della D.C.




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