Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


A proposito di Rea (1951)

Il vostro critico letterario, Gastone Duse, conclude la recensione a “Gesù, fate luce” di Rea affermando che una maggiore chiarezza ideologica e una maggiore penetrazione nelle ragioni d'essere delle forze del lavoro avrebbe fatto dell'opera del neo premiato di Viareggio un vero capolavoro. Vuol dire con ciò Duse che per essere grandi scrittori occorre possedere l'ideologia marxista, o appartenere al Partito Comunista?

           Da buon comunista Gastone Duse non è giunto certo ad una tale errata conclusione, Duse ha voluto semplicemente affermare la grande verità di tutti i tempi per cui un'opera raggiunge le vere altezze dell'arte e trascende dal suo tempo solo se sa afferrare la realtà del momento storico di cui esamina e descrive questo o quell'aspetto.
           Il nostro grande Antonio Gramsci (Letterature e Vita Nazionale, ed. Einaudi) quando tratta dell'arte come mezzo di lotta per una nuova civiltà non ha bisogno di riferirsi a scrittori marxisti per affermare il concetto che ha guidato Duse nella sua critica. Gramsci ricorda quanto ebbe a scrivere Benedetto Croce per cui la letteratura non genera letteratura, così come le ideologie non generano le ideologie, ma esse sono generate dall'intervento dell'elemento “maschile” che è la Storia.
           Che i comunisti per l'esaltazione dei veri grandi scrittori non trovino il limite nelle proprie convinzioni ideologiche, lei può averne un chiaro saggio negli articoli scritti da Lenin su Tolstoi (riprodotti in Rassegna Sovietica, 1950, n. 8) nei quali, pur ponendo in rilievo tutte le contraddizioni dell'opera del grande romanziere russo, Lenin ne riconferma tutta la funzione progressiva e la storica aderenza alla situazione che fece maturare la rivoluzione contadina borghese del 1861, momento della faticosa redenzione del popolo russo.
           Nell'Unione Sovietica, i cui aspetti di una nuova etica sono interessanti quanto quelli di un nuovo sistema politico-economico, lo scrittore è visto come logicamente sempre e dappertutto si dovrebbe vedere: per il contributo che esso deve riuscire a dare alla trasformazione e al progresso sociale.
           “Ingegneri delle anime umane” definisce Stalin gli scrittori sovietici e con questa definizione il grande Capo del proletariato mondiale vuol richiamare gli scrittori alla responsabilità che pesa su di loro per l'educazione e per la sana “costruzione” del cittadino nel senso più profondamente morale.
           Per una completa conoscenza di come i marxisti considerano il problema della cultura le consiglio di leggere – se già non ha avuto il tempo di farlo – Politica e ideologia di Andrei Zdanov, ed. Rinascita.




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