Gelasio Adamoli
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«Adamoli e Pertusio bene insieme nel PD»

di Giovanni Mari (10 settembre 2007)


IL CAPO partigiano, il grande sindaco comunista (1946/1951), il fine oppositore. Un maestro, preso a riferimento da tutti nel centenario della nascita e a mezzo secolo dalla sua esperienza di primo cittadino.

Gelasio Adamoli è nella storia della sinistra ligure, dicono i sindaci che gli sono succeduti nel tempo; ma – e lo dice Giancarlo Piombino, che fu sindaco democristiano – anche un pilastro del futuro Partito democratico. Piombino insiste: «Mi sono chiesto più volte, avendoli visti sul campo nei loro leggendari scontri, se Adamoli e Pertusio oggi potrebbero ritrovarsi nel Pd. La risposta, ne sono certo, è positiva».

Dalla commemorazione di ieri alla Festa dell’Unità emerge una figura immortale. Ci sono, sul palco - davanti a trecento persone e presentati dal segretario ligure dei Ds Mario Tullo - Fulvio Cerofolini, Claudio Burlando, Giuseppe Pericu e Marta Vincenzi; tutti sindaci, con Romano Merlo che ha inviato una sua lettera e Adriano Sansa e Cesare Campart che alla fine non sono riusciti a essere presenti. Poi Piero Gambolato, combattivo vicesindaco, che ha tenuto una vera e propria lezione di storia, di politica e di vita attorno ad Adamoli.

Emerge, raccontato nei dettagli di un vertice operativo da Renato Drovandi nel covo di via Caffa nella tarda primavera del 1944, il capo di stato maggiore Adamoli, già alla guida delle Sap partigiane. Emerge, per convinzione di tutti, il sindaco che tira fuori Genova dalla guerra, che crede nel rilancio, che definisce il primo piano regolatore e tratta con governo e industriali la resurrezione delle fabbriche, la difesa del lavoro e dei lavoratori dell’Ansaldo. Emerge il galantuomo, «elegante, distinto nell’eloquio e nello scontro», l’amministratore «lungimirante» e l’oppositore «che pure da senatore non mancava mai in consiglio». Piombino prima, Cerofolini dopo, ricordano come l’invettiva di Adamoli sui bilanci democristiani del Comune si concludevano sempre con un giudizio secco, lapidario: una parola che poi sarebbe diventata il tormentone nella battaglia successiva. In quei consigli comunali di allora, in sale fumose e in perenne seduta notturna, perché al pomeriggio i consiglieri lavoravano (tutti).

Adamoli, che incontra il diciottenne Burlando all’inaugurazione della sezione Ho Chi Min di Pedegoli; che organizzò il convegno sul lavoro da cui partì il riscatto della Cgil nelle conquiste operaie; Adamoli sulle barricate di via XX Settembre quando contribuì a sventare il precipizio dell’insurrezione subito dopo l’attentato a Togliatti. L’ex sindaco, ormai sovrintendente del Carlo Felice, che spiegò come fosse opportuno scommettere sul nuovo teatro proprio a due mesi dalla spaventosa alluvione del 1970. Il comunista che apriva sempre i cortei del 25 aprile insieme al sindaco democristiano che gli subentrò all’avvio di quei 24 anni in cui il Pci restò in minoranza.

Minoranza no, in realtà: tra il 1951 al 1975 il Pci si confermò sempre il primo partito in città, ma la situazione nazionale e internazionale ne impedivano il coinvolgimento nelle giunte. Gambolato ci gioca sopra, con classe: «Genova rossa, dicono, ma dove? Adamoli fu il primo sindaco, è vero; ma per trovare un altro sindaco che proveniva da quella storia devi cercare fino a Burlando, quando il Pci non esisteva già più». Erano i primi anni Novanta. La transizione avvenne con i Cerofolini, i Merlo. Le vittorie in Provincia e in Regione.

Adamoli, in tutto questo, resta una certezza. Un faro. Ma non una leggenda: «Oggi ci insegnerebbe – conclude Vincenzi – che certe cose non dovremmo lasciarle dire solo a Beppe Grillo. Che la politica non si fa per tutta la vita attaccati agli incarichi».


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