Deborah Tolomeo
La 'Stampa Rossa' a Genova (1945-1953). Le Carte Adamoli


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4.3 La cultura in fabbrica

     Mentre l'Italia vive il suo 'miracolo economico' e la ricostruzione può considerarsi conclusa, a Genova gli anni Cinquanta sono caratterizzati da un clima sociale di più accesa tensione e dalle lotte operaie, in quella che verrà definita la "città divisa":

La vita politica e culturale di Genova appare compressa in universi rigidamente separati.Il mondo comunista è caratterizzato per buona parte degli anni Cinquanta da una rigida chiusura operaistica e da una pesante ipoteca burocratica. Il mondo cattolico e moderato è unito nello scontro con il PCI e sul progetto di una Genova meno operaia, di una città terziaria di banche e di pubblici dipendenti. (50)

     Sappiamo che molte realtà industriali facevano capo a Genova, come la siderurgia, la metalmeccanica, la cantieristica e le riparazioni navali. La larga presenza delle partecipazioni statali nella proprietà delle aziende, accanto alla centralità del settore metalmeccanico, caratterizza l'industria genovese già dal primo dopoguerra. (51) Ma dopo la Seconda Guerra Mondiale il ridimensionamento, legato alla riconversione industriale, di settori profondamente legati alle commesse belliche per la propria sopravvivenza, si accompagna all'opera di modernizzazione delle aziende liguri (52) o alla loro trasformazione attraverso l'avvio di nuovi impianti. (53) Tali problemi sono risolvibili solo attraverso ingenti finanziamenti pubblici e la storia della San Giorgio in questo senso è emblematica: principale impresa meccanica privata cittadina, con oltre ottomila dipendenti, priva dei fondi necessari alla riconversione, entra nell'orbita dell'IRI nel 1946 (54) e sarà la prima azienda a subire i piani di ristrutturazione di Finmeccanica. (55) La sua occupazione di 82 giorni, nel 1950, darà il via alla stagione delle vertenze che infiammeranno Genova e il ponente operaio e sarà seguita dalle “lotte produttiviste per la San Giorgio, quella per la difesa del posto di lavoro in porto e in Mira Lanza, ed infine per gli stessi motivi in Ansaldo". (56)

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(50) (P. Arvati, Genova e l'Ansaldo, cit., p. 188).

(51) Dopo la prima guerra mondiale i privati erano incapaci di affrontare le sfide postbelliche e la gravissima crisi del 1929: solo il soggetto pubblico disponeva di risorse adeguate al risanamento dei conti delle industrie genovesi. L'Ilva e l'Ansaldo evitano la liquidazione grazie all'intervento dello Stato che le salva rilevandone la proprietà con la costituzione, nel 1933, dell'Istituto per la riconversione industriale (IRI), ente permanente dal 1937.(G. Bruschi, Una battaglia operaia a Genova, cit., pp. 8-13).

(52) Vanno in crisi prima le produzioni belliche e successivamente, negli anni '50, la cantieristica. Allo stabilimento Ansaldo di Sestri Ponente, ad esempio, cioò provoca una riduzione del 47% del personale, nel periodo compreso tra il 1950 e il 1962. La crisi della cantieristica può inquadrarsi all'interno di un trend europeo, che vedeva la domanda di navigli spostarsi verso produttori tecnologicamente superiori come il Giappone e a cui la neonata CEE rispondeva chiedendo ai Paesi partner di ridurre la capacità produttiva dei cantieri. (A.Maiello, La politica sindacale, in G. Mori (a cura di), Storia dell'Ansaldo. Dal dopoguerra al miracolo economico (1945-1962), cit., pp. 61 e segg.).

(53) Ad esempio lo Sci di Genova Cornigliano, stabilimento siderurgico a ciclo integrale, la cui costruzione provoca una tristemente lunga serie di morti e infortuni sul lavoro, a cui ogni volta seguono mobilitazioni dei sindacati e del movimento operaio. (P. Arvati, Genova e l'Ansaldo, cit., pp. 182-186). Ricorda ancora Manzitti che "quando si verificavano degli incidenti mortali sul lavoro negli stabilimenti del ponente, poteva succedere che i sindacalisti portassero le salme sotto i nostri uffici". (Manzitti G., Tempo di ricordare, cit., p. 89).

(54) I gruppi privati che controllano la San Giorgio (Odero, Rocco e Armando Piaggio, Zanardi, Bocciardo, mentre il 18% è controllato dall’IRI) richiedono il taglio di 2 mila dipendenti. Il CDG, costituito il 15 novembre 1945, e i sindacati chiedono perciò il passaggio dell'azienda all'IRI, non solo per motivi assistenziali ma anche per realizzare l'espansione produttiva che i lavoratori esasperati vorrebbero. Dopo l'ennesimo mancato pagamento della quindicina e l'indignazione del popolo sestrese, la San Giorgio passa all'IRI, che ne deterrà il 60% del pacchetto azionario. Il contrasto era nato soprattutto perchè i privati chiedevano all’IRI i finanziamenti necessari alla riconversione senza cedere la maggioranza del pacchetto azionario. (Cfr. P. Rugafiori, Dalla Resistenza alla scissione sindacale, in P. Arvati, P. Rugafiori, Storia della Camera del lavoro di Genova, cit., p. 44).

(55) L'IRI discute nell'immediato dopoguerra l'ipotesi di raggruppare in una holding le imprese del settore meccanico dell'Istituto: il piano di riassetto che nel marzo 1948 porta alla nascita di Finmeccanica, con 50 stabilimenti e oltre 88 mila dipendenti. Negli anni successivi Finmeccanica si adopera per la riorganizzazione delle imprese controllate seguendo criteri di razionalizzazione e ridimensionamento degli organici. Uno dei primi provvedimenti è l'accorpamento della San Giorgio con l'elettrotecnico Ansaldo nella 'Ansaldo San Giorgio'. (P. Arvati, Genova e l'Ansaldo, cit., pp. 182-186).

(56) Tra le occupazioni più spettacolari, quella dell’Ansaldo, in cui gli operai portano avanti per 72 giorni la produzione, gestita attraverso gli organismi del movimento operaio. In regione la ristrutturazione industriale richiedeva in quell'anno 8700 licenziamenti nel settore metalmeccanico, di cui le metà all'Ansaldo stessa, che concentrava in termini di produttività nazionale una percentuale altissima della cantieristica, della carpenteria e della produzione di motori a vapore e diesel. Il compromesso a cui si giunse con la chiusura della vertenza sembrò valorizzare la capacità egemonica dei lavoratori, ma di fatto i licenziamenti e le sospensioni vennero solo dilazionati negli anni successivi, mostrando la sconfitta del movimento. (A. Maiello, La politica sindacale, cit., p.66).