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Uguccione della Faggiuola

      Di ciò si vide segno tosto che l'alto Arrigo, come lo chiama Dante, cesse dalla scena. Imperocché, morto a Buonconvento (24 agosto 1314) l'imperatore paciere, in odio a' Guelfi e in poco onore tra' Ghibellini, sorse l'oltrapotenza d'un capitano di guerra, Uguccione della Faggiuola, membruto e rubesto soldato, che assoldando masnade tedesche e maneggiandosi colle parti e coi fuorusciti, recossi in mano il dominio di Lucca, di Pisa e di più che mezza Toscana, e die' ai Guelfi e ai Fiorentini la sanguinosa rotta di Montecatini (29 agosto 1315), rivincita di Campaldino.
      Di che rinacquero le speranze degli esuli e di Dante; ma poco durarono. Perché Uguccione, usando insolentemente la fortuna, fu l'anno appresso cacciato dai Lucchesi e dai Pisani, impazienti di rigido imperio. Dopo quest'ultima diffalta dei Ghibellini toscani, Dante, per la seconda volta, riparò a Verona, dove a Cane della Scala riparlò quel linguaggio che prima aveva tenuto con Arrigo imperatore, e poi con Uguccione.
      A questi tempi (1317) si dee porre il rifiuto magnanimo con cui Dante rispose alle pratiche d'alcuni suoi benevoli, i quali l'avrebbero voluto rimettere in patria. I patti del richiamo, che portavano pubblica confessione ed ammenda di colpa, parvero indegni all'esule illustre, il quale nella celebre lettera che ce ne rimase, con un a cotal disdegnosa rassegnazione ricorda l'innocenza sua patente a tutti, qualunque sieno: novella prova ch'egli era, o almeno credevasi anche allora, quale era mostratosi nel suo priorato, confortatore cioè di concordia e nimico delle sette. E veramente, ch'ei non fosse, come a molti giovò dipingerlo, ghibellino arrabbiato, ce lo prova anche il suo soggiorno alla Corte di Pagano, patriarca d'Aquilea, di casa Torriana, e però inchinevole ai Guelfi.