Omaggio a Dante Alighieri di 
 
  
  
  
  
 
     
E LA POLITICA DEI GHIBELLINI	327
 
     
Diins Scoto| non si era compiutamente sbarbicato dagli animi| e la Roma degli antichi Cesari| progettava tuttavia una pallida luce sopra i più forti intelletti. Eppure quella Roma era spenta| spenta non solo nei giorni di Arrigo ma bensì in quelli di Trajano| quando il suo eloquente panegirista si sforzava dimostrare| la regina del mondo nulla averci rimesso della sua antica potestà| persuadendo ai popoli conquistati non esserci per essi maggior bene che vivere sottoposti alla sua dominazione: « Febei i popoli (dice Plinio) che caddero vittime della sua spada ». Ecco in breve tracciata la dottrina dei Ghibellini; veniamo più dappresso a disaminare brevemente quella dell'Alighieri.
 
     
II.
 
     
Il punto che fa mestieri chiarire è il seguente: fu l'Alighieri avverso al potere civile dei Pontefici? Quante volte ci verrà concesso pruovare| nè l'impresa è malagevole| che il poeta Ghibellino noti abbia mai avversata la sovranità temporale dei Papi| ogni disputa cade| però che simigliante concetto esclude quello dell'unitarismo moderno.
 
     
Chi crede che i Ghibellini avessero voluto annientare l'autonomie dei singoli stati| la personalità de'varii regni erra di lunga mano| e bastano a pruovarlo e quanto si legge nello scritto de Monarchia| e le parole di quel prezioso libro che si addimanda il Convito| come del pari l'epistola all'imperatore Arrigo. Nel primo libro de Monarchia sta scritto: « Le nazioni bisogna con differenti leggi governare... che altrimenti bisogna regolare gli Sciti| altrimenti i Garamanti. E nel libro quarto del Convito:
  
  
  
  
  
 
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