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Le fazioni

      Ma la prosperevole fortuna ingrossò i mali umori, che ancora non si erano sfogati. I grandi, esclusi dal governo, o costretti a rientrarvi abbassandosi alle arti, dolevansi fieramente che dopo aver difesa e fatta potente la patria col loro sangue, non la potessero ajutare di consigli, e fossero tenuti come in tutela dalla gente meccanica e di bottega. E però, quando loro veniva fatto, percuotevano o ingiuriavano i popolani con insolenza incorreggibile: ma peggio è, che anch'essi si dividevano in sette e in consorterie, le quali si straziavano colla lingua, fintantoché non si preparasse occasione di lacerarsi colle armi.
      Due fazioni dopo Campaldino erano sempre state tra i grandi Guelfi; l'una delle schiatte più antiche e onorate, e però per lunga consuetudine più atte alle risoluzioni vigorose e più preste ai fatti; l'altra di case ricche e date alla mercanzia, e però non manco superbe, ma più acclini a quiete e più rassegnate all'impero delle leggi comuni. L'una setta faceva capo ai Donati, ond'era la moglie di Dante: stirpe d'antichi orgogli e di rancore, esperta in tutte le arti di sedurre la plebe, ricca di onori e di tempo più che di facoltà; dell'altra setta erano principali i Cerchi, ricchissimi in mercanzia, malgraziosi al popolo minuto, beffati dalla nobiltà vecchia, invidiati da tutti.
      Fra queste due fazioni, il cui scisma nasceva non da pubbliche gare di opposti consigli, ma da passioni private, veggiamo Dante con tutti i buoni uomini della città infrapporsi e temporeggiarsi, sì che l'insolenza irrequieta degli uni e la sprezzatura degli altri non rompessero in qualche scandalo rovinoso. Ma la divisione dei Cancellieri di Pistoja, e le sette dei Bianchi e dei Neri che originarono da quella sozza discordia domestica, vennero a soffiare nel fuoco che già covava insidioso in Fiorenza.