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Gironi danteschi

      Come sia ordinato e distribuito questo vero inferno il poeta lo divisa con ogni cura nel canto XI; prima gli eresiarchi, che turbarono colle loro sottilità la legge morale; poi i violenti, che usarono forza nel prossimo, in sé, ne' decreti di Dio; da ultimo i fraudolenti, i quali più s'aggrevano al fondo d'ogni male, secondochè usano gl'inganni loro in chi si fida, o in chi potrebbe diffidare: questi ultimi, che recidono il vincolo d'amore ordinato da natura tra gli uomini, cioè ipocriti, affatturatori, ladri, simoniaci, barattieri, hanno meno orribili pene di coloro i quali non fanno frode alla Datura soltanto, ma a quel vincolo di fede che per espressa volontà stringe uomo ad uomo: ond'è che i traditori sono fitti ove punta tutto il male dell'universo.
      Codesta è la forma razionale dell'inferno. Le pene materiali poi vi sono mirabilmente appropriate alla natura dei misfatti, e accomodate alle fantasie popolari. In grandi avelli infuocati giaciono, morti immortali, coloro che fanno l'anima corporea; i tiranni affogati in un bollente fiume di sangue; le anime dei suicidi chiuse in alberi strani che gemono sangue e parole sotto l'ugne delle arpie, le quali van rameggiando tra le stecchite frondi; i bestemmiatori e i perduti dietro nefande e studiate carnalità sono seduti, o vanno fuggendo su un deserto d'arene roventi e sotto una pioggia lenta di fuoco. Dentro questo gran cerchio dei violenti, che è quasi a dire l'inferno eroico, incontriamo le grandi anime del Farinata, di Brunetto Latini, del Tegghiajo, del Rusticucci, del Guidoguerra, di Pier delle Vigne, e Ezzelino, e Chirone co' Centauri, e Capaneo, che morto e dannato, sta con eroica baldezza non si curando del fuoco, né della vendetta divina.
      Ma da questo all'ultimo ed imo inferno dei frodolenti è chiuso il passaggio; poiché né Dante, né Virgilio non ponno tragittarvisi dall'inferno eroico se non sulle spalle d'una sozza immagine di froda, la cui forma mutevole e fantastica, com'è appunto frode, che piglia aspetti infiniti, è dal poeta ritratta con tanta evidenza che mai la maggiore. La tremenda maestà dell'inferno dei violenti quaggiù, si muta in mistione d'orrore e di sozzura.