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Età antidantesche

      Nel successivo secolo XV le lettore in Italia declinarono a scolastica di parole e di frasi; e non si richiedeva meno perché gl'ingegni raffreddati si l'insignorissero per grammatica del buon latino, e disnebbiassero l'antichità dalle fantastiche trasfigurazioni del medio evo. E però l'Alighieri, barbaro latinante e cristianizzatore delle reliquie classiche, doveva scadere di pregio presso eruditi che aspiravano a rifare il paganesimo. Il secolo XVI, che portò il più bel fiore delle arti figurative, predilesse del divino poema principalmente il lato plastico; e certo gli spigliati ed eleganti ingegni che sì bene contraffacevano Virgilio e Cicerone dovettero ammirare i pregi rettorici dell'Alighieri, e la sua sfolgorata e continua ipotiposi; benché più volentieri si adagiassero nell'imitazione del Petrarca, e nel suo afrodisiaco concettualismo.
      E neppur quelli fra i cinquecentisti che per tempera d'ingegno più grave, per più squisito senso filologico sentironsi inclinati a Dante, seppero dar ragione di quel loro anacronismo estetico; imperocché le dottrine critiche di Aristotile e gli esempi d'Omero e di Virgilio non poteano certo assestarsi al poema dell'Alighieri, dove in nuovo modo l'epica e la lirica si mescono colla drammatica e colla didattica, cosicché spesso i difensori di Dante, uomini dottissimi, come il Varchi e il Mazzoni, rimasero inviluppati e conquisi da un Castravilla, da un Bulgarino e da alcun altro schermeggiatore catafratto di greche e latine autorità. Il seicento avrebbe dovuto adorar Dante, se fosse vero quel che diceva un novatore d'allora, scopo della poesia essere la meraviglia.
      Ma siccome le meraviglie dei secentisti erano in magnificaggini verbose e aguzzature di concetti che neppure sfiorassero il cuore, così nessuna età riuscì più antidantesca di quella in cui l'Andreini col suo infelice Adamo chiamava sulle scene gli angeli, i demonii e le virtù teologali, ed in cui il Marino affettava di nascondere, sotto le rosee carnalità del suo Adone, austere allegorie d'intemerata moralità. E tanto scarsa fu in questi tempi la notizia della visione dantesca, che non se ne giovarono nemmeno gli scrittori ascetici, i quali, non senza pregio di poetico artificio, composero quei celebri manuali del terrore, che sono le Sette Trombe e le Verità Eterne, dove l'ispirazione viene dirittamente dalle più tenebrose leggende dei bassi tempi; né v'è indizio di quella graduazione filosofica di pene, che l'Alighieri introdusse nelle sue due prime cantiche. Tra i celebrati scrittori di questo secolo, solo per avventura il Bartoli mostrò d'esser devoto a Dante, e ne serba segno nelle sue, per dirla col linguaggio dei pittori, accademie e notomie di stile.