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Calata di Arrigo VII in Italia

      Si rinfocolarono le speranze un'altra volta quando Arrigo VII di Lussemburgo varcò le Alpi, precorso da nobilissima fama e dalla promessa ch'ei veniva per appaciare tutte le parti in Italia. Dante fu ad ossequiare Arrigo in Lombardia, e poscia corse, quasi per preparargli la strada, in Toscana, donde il 16 aprile 1311 gli scrisse, a nome anche di tutti i fuorusciti, una lettera, in cui accusa Fiorenza ribelle all'Imperio e congiuratrice con re straniero a' danni della signoria di Roma, e la mostra, magnificando anche nell'odio la patria, rocca e capo in Italia di parte guelfa, e, com'ei, dice, Golia de nuovi Filistei.
      Erano allora in fatto i Fiorentini collegati col re francese di Napoli per contrastare all'imperatore il primato ch'ei s'arrogava su tutta Italia. E non può negarsi che il diritto pubblico di quei tempi, intricato ed equivoco, non fornisse ragioni o almeno argomenti ad ambe le parti; né che la discesa d'Arrigo, preceduto dalla fama di leale e grazioso cavaliere, e non avversato dal pontefice, avesse levato tutti i popoli italiani in buona speranza che le fazioni, da tanti anni disfrenate e implacabili, potessero spegnersi e comporsi in pace.
      A mostrarcelo basterebbe ricordare come il popolo di Milano, guelfissimo per lunghe e gloriose tradizioni, accogliesse il nuovo augusto. E veramente Arrigo ne' suoi principii aveva dato buona intenzione di voler rassettare le cose d'Italia più coll'autorità che colle armi; tanto che non soffriva in sua presenza neppur il nome di guelfi e ghibellini; e procedeva con grande, e altri direbbe incauto scrupolo d'imparzialità, richiamando alle patrie loro i fuorusciti di qual pur setta fossero, e comandando concordie e amicizie impossibili veramente, ma che pur sarebbero state necessarie a far che Italia posasse. Questo imperatore insomma predicava col prestigio della suprema autorità quello che Dante aveva sino allora voluto persuadere a ragioni. L'uno e l'altro pensavano di poter risolvere con una maniera di conversione e di palingenesi morale quell'inestricabile viluppo di passioni, d'interessi, d'idee contrarie che s'aggruppava nel sublime assurdo del medio evo.
      Ma coloro che infamano l'Alighieri come piaggiatore di tirannide straniera mostrano di non comprendere né l'uomo, né i tempi; e non si ricordano come fin d'allora si potesse prevedere, e i casi successivi confermarono le profezie dolorose, che il parteggiare per eredità di sangue e per gelosie di municipii menava a sgretolio di repubblichette astiose e impotenti, a spegnimento di schiatte e di tradizioni durabili, a sminuzzolamento di fazioni plebee, e infine a signorie inferme ed ignobili di capisetta e d'avventurieri.