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(segue) Spaventa Silvio
patriota, deputato, Roma (24-6-1893).

è l'eroe del romanzo. Ma, indugi quanto si voglia questo giudizio, io lo presento nell'animo, perché ho fede nel buon senso e nel discernimento della generazione che si va educando. Per ora accetta l'espressione del mio vivo affetto e credimi sempre - Di Sambiase, 2 agosto 1887 - Tutto tuo F. Fiorentino.



(6-9-1893). Silvio Spaventa nella sua provincia - Il presidente del Consiglio provinciale di Chieti, l'egr. avv. cav. Francesco de Innocentiis ha commemorato con questo splendido discorso che troviamo nel Cittadino, la vita di Silvio Spaventa. - "Onorevoli colleghi, E' con profonda commozione, che il tempo trascorso non ha calmata, e che la solennità del momento, la muta eloquenza dei vostri volti pensosi rende acuta e pungente, che io mi levo a ricordare la memoria di Silvio Spaventa in questo primo Consiglio amministrativo della sua provincia nativa. Perché e l'altezza del soggetto, e la solennità del ricordo è tanta, che richiederebbe ben altra parola che non sia la mia umile e disadorna, e quasi balbettante sull'arduo tema. Ben a ragione, o signori: in Silvio Spaventa l'Italia tutta, e segnatamente la presente generazione ammira, tra riverente e vergognosa, la tempra adamantina del carattere e l'altissimo intelletto, il cospiratore indomabile per la redenzione della patria e lo statista della patria redenta, il filosofo civile fuso con l'eroe di Plutarco. E l'Abruzzo che ne fu culla, e che gli diede la miglior parte della sua natura, e ne fece l'espressione più pura e più alta di quanto esso può nel pensiero e nell'azione, saluta in lui il nome per cui più direttamente i suoi martirii e le sue glorie, le sue aspirazioni civili e patriottiche, e, per dir tutto in breve, la recente sua storia politica si riconnette alla storia del patrio risorgimento. E fu in questa Città, che deve essere giustamente orgogliosa di essere stata, nell'epoca più nefasta della mala signoria, il centro intellettuale più vivido della regione ove l'Appennino si fa più aspro e gigante, che la balda gioventù di quel magnanimo disciplinò le forze della mente e dell'animo, e imparò a congiungerla in quella salda armonia di alti intendimenti, che fecero di lui una delle figure più compiute e più pure del risorgimento italiano (Benissimo). Né questa intima corrispondenza di pensieri e di sentimenti con la regione nativa si spense mai. Quando nel 1847, giovane povero di mezzi, quanto ricco di studii e di magnanime aspirazioni, giunse in Napoli, ad iniziarvi quella consacrazione di tutto se stesso alla causa italiana, io che vi parlo ricordo, che uno de' primii suoi atti fu quello di stringere intorno a sé i giovani abruzzesi, specialmente quelli della scuola di Roberto Savarese, per insegnare ad essi diritto pubblico, cioè per farne operai ed apostoli della nostra redenzione intellettuale e politica. Fu il primo atto, io credo, della sua milizia patriottica; e quando dopo soli otto giorni il cenacolo fu disperso, si poté dire giurato tra questa regione e lui quel patto di solidarietà, che per mutar di sorti, non si poté dire distrutto giammai. E ben a ragione l'illustre Marselli, celebrandone la memoria in Senato, poté dire ch'egli era fatto ad immagine dell'Abruzzo, e che se il turbine politico del marzo 1876 poté svellare la robusta quercia dal ristretto suolo del suo collegio uninominale, non poté svellare dal cuore costante degli Abruzzesi l'affetto pel loro eminente concittadino, anzi l'accrebbe. Io credo d'interpretare il vostro sentimento, o Signori, ringraziando l'insigne uomo, pel balsamo versato con quel giudizio sulla ferita che lo spirito di parte inflisse in quei giorni tristamente memorabilli al nome abruzzese. E come il cuore del nostro grande concittadino congiunse in un solo affetto, da sul letto di morte, e nell'ultima volontà sua, la terra d'origine e la terra ospitale che lo raccolse caduto, così congiungiamo nei nostri cuori alla gratitudine verso Spaventa, la gratitudine verso l'illustre città che serbò al Parlamento italiano il beneficio della parola, del consiglio, e più ancora dell'esempio di quella mente e di quel carattere saldi e diritti come la spada della giustizia (Bravo). A me non spetta di ritessere quella vita gloriosa. Altri dirà più degnamente, da questa città all'Abruzzo, come dovesse scampare dal carcere esulando, prima che le libertà patrie avessero una fugace vittoria sul più incivile de' gove rni, che straziarono fino al 1860 le varie regioni italiche. Come, deputato d'Abruzzo, sottoscrivesse imperterrito la fiera protesta del Maggio 1848, e nella seconda del 12 Marzo 1849, che fu l'ultima del Parlamento napoletano, stigmatizzasse gli arbitrii. L'idea unitaria lo infiammò prima fugacemente sotto la forma federativa, poi stabilmente sotto quella dell'Italia raccolta in Stato unico e potente. Presago nella mente divinatrice, e poi spettatore della perdita della vecchia monarchia, celebra sul Nazionale insieme l'insurrezione delle Calabrie e la vittoria di Goito, e in mezzo alla rovina, fortunatamente transitoria, dell'idea nazionale, designa quasi il re unificatore. Ma i momenti nei quali si può dire che rifulse più vivamente l'oro puro di quell'eroica tempra, furono quelli dell'avversa fortuna. Perché fu in quelli appunto, nei martirii nobilmente sofferti senza né torcer collo, né piegar sua costa, senza mai rinnegare, nelle parole e negli atti, gl'ideali civili e patriottici lungamente proseguiti, che quel magnanimo mostrò quanto l'altezza dell'intelligenza e dell'animo possa sollevare l'uomo al di sopra del fato della vita. Con fronte serena, ascolta nel 1852 la sentenza di morte, e risponde al giudice con la storica, sdegnata, minacciosa frase di Bruno. Aspetta per dieci giorni, con altera indifferenza, il capestro che il tiranno tiene sospeso sulla sua forte giovinezza. E quando quegli, non abbastanza coraggioso ed audace nel delitto, gli tolse tutto, tranne la vita, là nell'ergastolo di Santo Stefano, sepolto vivo, come un metallo percosso, s'indurì, e dalle percosse si sprigionò più vivida la scintilla del suo pensiero, e nel fondo d'ogni miseria non vacillò, non patì pentimento, non disperò della salute d'Italia (Vivi segni d'approvazione). E venne il giorno, il gran giorno della patria, ed egli fu nel trionfo quello che era stato nella sventura, non designato all'alloro, ma alla battaglia eterna ed ostinata pel meglio. Con tenacità ed ardire opera ed incalza nel 1860 perché si affretti l'annessione; e nella salda convinzione del bene e del vero, nella carità della patria di nuovo pericolante, non teme di sfidare (amarissimo istante!) la stessa ira del duce liberatore. Consigliere di tre luogotenenze regge fermamente la città ed il regno travagliati dai ribaldi, inerme, resiste alla plebe, che ne chiede il capo, non men saldamente di quello che aveva resistito al tiranno. Deputato e ministro tenne fede alla sua parte politica, ed aborrì da ogni transazione per questa: ma pose al di sopra di sé e della parte sua un ideale, proseguito con amore indomabile, la patria raccolta nell'Unità potente dello Stato nazionale fondato sulla libertà e sulla giustizia nell'amministrazione. E quando, pel trionfo di un'altra parte politica e poi per la infermità invano combattuta dalla forte sue fibra, non poté più sedere al governo dello Stato, egli si dedicò con lo stesso ardore e con la stessa tenacità a dargli appunto quella base di giustizia superiore ai partiti, alla quale giustamente va congiunto il suo nome. Posto a capo della quarta sezione del Consiglio di Stato, di cui fu fondatore ed ispiratore fino agli ultimi giorni di sua vita, egli si dedicò tutto alla realizzazione di quel nobile ideale. In questa nuova palestra rivelò nell'intenso travaglio dello studio lo sfogo conteso all'attività sua esuberante fin sul letto del dolore. Lo studio e il sapere lo avevano fatto patriota, e pel bene della patria tornò da ultimo allo studio e al sapere e cercò in essi il conforto alle ansie segrete, e alle trepidazioni, che nell'anima sua, invitta in ogni pericolo, soltanto lo spettacolo della corruzione crescente fu capace di suscitare (Bene). Silvio Spaventa fu un grande ideologo e un grande virtuoso, pur essendo uno statista pratico, di mente e di penetrazione lucida e sicura. Le pesanti catene da lui trascinate nell'ergastolo furono uno degli anelli più saldi che strinsero la compagine della patria unificata. E il sapere, la virtù, il martirio, il carattere saldo come i monti del patrio Abruzzo, lo collocano e lo coll ocheranno sempre più alto nella memoria dei posteri, perché, come nel Senato solennemente fu detto, in Lui ogni viltà fu morta!

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