Bruno Adamoli
[collocazione nell'albero genealogico]

La sua vita raccontata da lui medesimo

Sono nato il 27 settembre 1928 ad Esino Lario (provincia di Lecco) in via Cardinal Ferrari n. 3. Quando frequentavo la scuola elementare (sono stato sempre promosso a pieni ed ottimi voti), nell'estate del 1938 (avevo 10 anni) ho iniziato il mio primo lavoro come commesso per un venditore ambulante di merceria e abbigliamento (ero un 'guarda ladri'). Questo lavoro mi impegnò solo nei mesi di luglio ed agosto, perché mi attendeva l'ultimo anno della scuola elementare. Dopo aver sostenuto l'esame, fui promosso con bei voti il 10 luglio 1939. Come premio, il giorno dopo a portare legna in salita! Cominciò così il mio lavoro nei nostri boschi, proprio come boscaiolo. Dormivo nelle baracche e nelle capanne fatte di frasche, oppure dentro qualche cascina, e tornavo a casa solamente il sabato sera. Trascorsi quegli anni sempre tra i boschi di casa, tranne il 1943, quando andai in montagna, sopra San Pietro Valtellinese, in Valchiavenna.

Una mattina presto del mese di novembre del 1943 (forse era una domenica), io e papà stavamo andando a caccia. Appena fuori casa ci imbattemmo in un uomo che stava scappando verso il centro del paese. Questi, trafelato, ci disse che lo inseguivano i tedeschi, e invitò anche noi a scappare. Cosa che noi facemmo prontamente, rifugiandoci sul tetto di casa. Eravamo armati (andavamo a caccia!), ma essendo quelli i tempi della resistenza partigiana, ciò bastava per essere considerati banditi ed essere subito fucilati o impiccati. Dal tetto vedemmo arrivare tre tedeschi, che piazzarono un fucile mitragliatore, puntandolo verso la campagna. Fortunatamente non guardarono nella nostra direzione! Dopo aver nascosto i nostri fucili sotto un asse, rientrammo in solaio e nel medesimo tempo arrivarono quattro tedeschi, che erano alla ricerca di quell'uomo che avevamo visto scappare poco prima. Quando mi trovavo insieme a mamma sulla scala un graduato mi chiese gli anni. "Ne ho quattordici", dissi, ma lui mi guardò in modo strano, incredulo perché ero già abbastanza alto. In realtà ne avevo già compiuti quindici, e sapevo che a quell'età si veniva condotti nei lager, come prigionieri; avevo già pronta quella bugia per poter salvare la pelle. Quando i tedeschi salirono la scala, mio padre già non c'era più. Si era nascosto sotto le balle di paglia che si trovavano nel solaio, proprio nell'angolo in fondo. Due di loro cominciarono a tirare via la paglia, e quando già erano vicino a papà uno di loro si punse un dito con filo. Questi premette la ferita per fare uscire il sangue, e fortunatamente smisero di tirare via altra paglia. Papà era salvo! I partigiani non si fecero vivi, ed i tedeschi si "limitarono" a rastrellare un centinaio di uomini, prendendoli come ostaggi, i quali poi furono liberati. Fra i partigiani ricercati c'erano Camillo e Matteo Adamoli, che furono catturati successivamente da un commando composto da Brigate Nere e tedeschi, e furono internati a Mathausen, dove purtroppo Matteo fu cremato.

I miei anni durante e dopo la guerra (fino al 1947) li trascorsi sempre nei boschi. Talvolta il sabato sera o la domenica scendevo dallo zio Ambrogio che faceva il barbiere, e da lui cercavo d'imparare un po' il mestiere. Nell'autunno del 1944, mentre si aspettava il ritorno dalla guerra di qualche musicante, insieme ad altri venti ragazzi cominciai a studiare la musica. Ebbi da un signore un paio di lezioni, poi altre tre da uno zio che suonava il trombone, il quale mi disse: "Arrangiati: sei più bravo di me!". Fu per me la fine della scuola di musica! A me piaceva la musica, ed allora da testone andai avanti da solo con un "Metodo musicale". Dopo cinque mesi, timido e tremante, cominciai a suonare nella Banda il bombardino in chiave di basso. L'unico dei ventuno! L'anno dopo riuscii ad insegnare quel poco che sapevo a cinque di quei ventuno ragazzi, e qualche mese dopo entrai a far parte della Banda.

Intanto nel 1948 gestii l'edicola stagionale del paese, che mi fu tolta l'anno dopo dal proprietario della licenza. Nel 1949 provai a fare il rappresentante di commercio, ma ero troppo timido. Insieme ad un'altra persona facevo centinaia di chilometri in bicicletta, ma poiché dovevo imparare non guadagnavo quasi nulla. Dopo qualche mese abbandonai tutto e tornai nei miei boschi. Nell'anno santo del 1950 giunse la cartolina verde: feci il militare negli alpini (Gruppo Bergamo, Artiglieria da montagna, 32. Batteria). La vita era pesante, il mangiare scarso e si andava su e giù per le montagne del Cadore e Tirolo, sempre a piedi. Le mie cariche militari furono quelle di Servente al pezzo, Trombettiere, e come tutti, conducente di muli. La mia mula si chiamava Imelda. Era bravissima!

Tra il 1948 e il 1949, poiché nella banda c'erano solo miei allievi come novizi, e questi suonavano ottoni in chiave di basso, presi la decisione di imparare da solo il clarinetto, perché il maestro, deluso dall'insuccesso avuto con altri allievi, non si sentiva più d'insegnare. Anche in quella occasione, da testone autodidatta, mi misi sotto con un nuovo metodo in chiave di violino, un clarinetto aggiustato con sugheri di tappi di damigiana ed elastici vari, ed in tre mesi circa, sempre tremante, entrai nella banda come unico clarinettista tra i giovani. Durante la vita militare, nel periodo trascorso al C.A.R. di Merano avevo già suonato col clarino, evitando così inutili marce.

Finita la vita militare, mi attendeva la solita vita nei boschi. Decisi insieme ai miei genitori di specializzarmi come parrucchiere da donna e uomo. Non essendoci ad Esino dei parrucchieri andai a Varenna; sarei sceso tutti i giorni a piedi, poiché non c'erano mezzi di trasporto che si conciliavano con i miei orari, e soprattutto perché non c'erano i soldi per pagarmi la corriera. Così mi scarpinavo 18 chilometri a piedi tutti i giorni, nove in discesa ed altrettanti in salita, per il ritorno della sera. Partivo di corsa la mattina alle sette e la sera tornavo a casa, mai prima delle dieci. Nella bella stagione, nelle domeniche pomeriggio e nei lunedì occorreva aiutare i genitori in campagna; per me c'erano poche possibilità di divertimento, anche perché il parrucchiere che mi teneva nel suo negozio, che era anche un amico, teneva per sé le mance che qualche cliente mi dava, con la scusa che lui mi insegnava il mestiere. Quando lui faceva qualche lavoro difficile si chiudeva in cabina, dicendomi che il mestiere lo dovevo rubare. Come potevo rubare ciò che non vedevo? Bell'amico!

Già dal 1949 ero stato fidanzato con una bella ragazza, con la quale però mi lasciai per alcune incomprensioni. Era la figlia del maestro della banda musicale. A causa di questa circostanza smisi di suonare. Intorno al 1952 però, per alcuni dissidi, la banda si divise: ce n'era una ad Esino Superiore, ed un'altra ad Esino Inferiore. La prima non aveva un maestro, così mi diedero quell'incarico. Ma dopo un paio d'anni, per l'adunata degli alpini a Roma nel 1954, le due bande si riunirono, e si fece pace col maestro della banda. Io tornai ad essere Vice-maestro, come prima.

Intanto andai avanti come apprendista per un paio d'anni, quindi nel 1953 cominciai a lavorare come parrucchiere da donna e uomo, mettendo una poltrona usata, un casco ed un lavabo in una specie di garage sotto una terrazza. Lì ho fatto le prime esperienze artigianali da proprietario di negozio. Non dico delle preoccupazioni che avevo lavorando sulla testa delle donne: usavo ammoniace ed acqua ossigenata a cento volumi, che andavano diluite con la tintura liquida. Non so come non sono finito in prigione. Allora si poteva!!

Intanto nel giorno di S. Stefano del 1954 fui operato d'urgenza per una peritonite. Feci 28 giorni di ospedale. In quel periodo arrivò mia sorella Rina, che lavorava alla Snia di Cesano Maderno, con una fisarmonica di ottanta bassi, con la quale suonava le canzonette di quel tempo. Mi piaceva la fisarmonica, e mia sorella lo capì. Mi disse: "Te la lascio, tanto nel convitto delle suore ho già il pianoforte!". Da quel momento non ci fu un minuto libero in cui non avessi la fisarmonica in mano. Dopo un paio di mesi erò già in giro, tutto gasato, a suonare qualche canzonetta.

Dopo la fisarmonica, nel 1955 arrivò per me un nuovo strumento. Qualche anno prima avevo prestato ad un amico dei soldi per andare a Tortona, e per sostenersi. Quando in quell'anno tornò, non aveva i soldi da restituirmi, però aveva un sassofono contralto, molto usato, con il quale saldò il suo debito. Nella banda di Esino non c'era mai stato questo strumento, ed allora, sempre da autodidatta, con il mio nuovo metodo, mi misi nuovamente a studiare. Potevo dire di conoscere le tecniche di tutti gli strumenti da banda, e ciò mi sarebbe stato di grande aiuto negli anni a venire, come istruttore di allievi musicanti.

Al di là della musica, la mia vita andava avanti tra quella specie di negozio ed il lavoro nei boschi, fin quando nel 1956 decisi di andare a lavorare in Svizzera. Mi stabilii a Sion, bellissima cittadina del Canton Vallese, e vi rimasi fino al termine del 1961. Ero parrucchiere per signora, e mi arrangiavo abbastanza bene: avevo tantissime clienti e lavoravo per almeno dodici ore al giorno. Raramente riuscivo a fermarmi un'ora per mangiare a mezzogiorno. Ero insieme ad un barbiere originario di Brescia: lui lavorava con gli uomini ed io con le donne, ma il lavoro era abbondante al punto che lui finì con il lavorare con me, mentre per il lavoro da uomo fece arrivare suo fratello per rimpiazzarlo.

Tornando indietro negli anni, tra il 1953 e 1956 avevo cominciato a suonare, quasi per scherzo, nei matrimoni, nelle feste dei coscritti, insieme ad un ragazzo che suonava ad orecchio la fisarmonica. Io mi alternavo tra sassofono, clarino e fisarmonica. Giungemmo a suonare quasi tutte le domeniche ed in occasione delle principali feste, come i veglioni di carnevale e capodanno. In questi anni niente di importante sentimentalmente. Solo tante fidanzatine di passaggio. Nel 1961 però in Svizzera conobbi una bionda parrucchiera, molto carina! Teutonica! Tedesca! Molto affascinante, almeno per me. Nel Natale di quell'anno lei tornò nella sua città, Hannover, mentre io rientrai in Italia, perché il negozio dove lavoravo era stato venduto per anzianità dai proprietari. Ero a casa ad Esino, libero! Ma presto mi giunse da Ingrid la teutonica, con la quale ero in comunicazione, una lettera con un quasi-contratto di lavoro da parrucchiere, in un negozio al centro di Hannover. Senza pensarci molto, a febbraio mi trovai a lavorare in Germania. In Svizzera parlavo francese, però anni prima avevo fatto un corso di tedesco dal francese, con un professore svizzero che parlava un tedesco dialettale svizzero. Ma dopo l'esperienza di cinque anni con la lingua francese, del tedesco non capivo quasi nulla: non vi dico quindi quello che ho combinato sulla testa delle donne! In ogni foglietto che era accompagnato alla cliente con il mio lavoro eseguito, c'era scritto in fondo: RECLAMATION! Io mi scocciai di questa situazione, anche perché ce la mettevo tutta per svolgere un lavoro fatto bene. Però a causa della lingua succedeva questo, e lo feci presente al padrone (che parlava francese), che si mise a ridere, spiegandomi che questo succedeva a tutti quelli che venivano a lavorare in quel posto, che non conoscevano il tedesco. Tre settimane dopo era tutto sistemato, anche perché avevo preso un quaderno dove avevo incollato una serie di fotografie e pettinature che avevo ritagliato da alcuni giornali. Le clienti guardavano le foto e mi mostravano ciò che desideravano. Così riuscii ad accontentarle, almeno in parte. Era un grande negozio, con una ventina di parrucchieri, un po' di tutte le razze: andalusiana, inglese, armena, ucraina, ed io l'italiano, ultimo arrivato. Tutti passati per il RECLAMATION!

Ogni tanto m'incontravo con Ingrid, che aveva ripreso a lavorare in città. Vuoi oggi, vuoi domani, alla fine decidemmo di sposarci. Non prima però di aver fatto una visita ai miei genitori e di aver girato un po' il bel lago di Como, con il proposito di venire qui a mettere negozio e famiglia. I futuri suoceri avrebbero preferito che fossi rimasto in Germania, però noi due, testoni, avevamo già deciso. Ci sposammo nel novembre 1962 e facemmo una luna di miele di un giorno e mezzo ad Harr. Poi, via di nuovo al lavoro. Nella primavera del 1963 venimmo ad Esino, ritirammo il negozio che avevo avuto io prima e ci facemmo la stagione estiva. Provammo a stabilirci altrove, ed allora a fine stagione andammo a Iesolo, poi a Pegli, ma capimmo che questi luoghi non facevano per noi. Un amico di Bellagio ci prospettò la possibilità di ottenere un locale libero al centro del paese. Il proprietario ci mostrò il negozio, che si trovava proprio in una zona ideale, dietro il Grand Hotel Villa Serbelloni, e ci offrì anche un appartamento posto vicino al negozio, nella piazza centrale del paese. Affittammo tutto al volo, arredammo l'appartamento e nella Pasqua del 1964 cominciammo il lavoro, con gran rabbia degli altri parrucchieri che, in accordo con il sindaco ed il maresciallo dei carabinieri, cercarono di farci subito chiudere il locale. Infatti il secondo giorno di apertura si presentarono in negozio un carabiniere ed un vigile, dicendoci che non potevamo esercitare la nostra attività, perché un regolamento comunale lo impediva. Mi arrabbiai molto, e subito contestai ciò che mi veniva riferito! A mezzogiorno presi mia moglie, ed insieme andammo nella caserma dei carabinieri: seduti di fronte al maresciallo dissi che da quel momento avrebbero dovuto mantenerci, pagando sia le spese del negozio che quelle per l'appartamento. Quel regolamento comunale, che effettivamente esisteva, era contro la legge; non saremmo rimasti inermi di fronte a quella situazione, e avremmo dato incarico al nostro avvocato di fare una denuncia, chiedendo anche il risarcimento dei danni causati dalla repentina chiusura. Di fronte alla nostra reazione il maresciallo rimase senza parole e si mostrò incerto su come agire. Dispose quindi che noi potevamo tenere aperto il negozio, riservandosi di agire per chiarire definitivamente la situazione. Da quel momento, non ci fu più un problema! Potemmo quindi far funzionare il nostro negozio. Io e mia moglie eravamo dei bravi parrucchieri; ci era di grande aiuto la circostanza che, con i tanti turisti stranieri, noi eravamo in grado di parlare il tedesco, il francese e l'inglese.

Qualche tempo dopo fui nuovamente operato, a causa di un ulcera perforata, e dopo questo periodo decidemmo di aumentare la famiglia. Il 29 novembre 1966 nacque Sonia, una bella bambinona, orgoglio di mamma e papà. Dato che il lavoro procedeva bene ed in famiglia si stava bene, decidemmo per un secondo figlio. Il 27 gennaio 1972 nacque Mirko, un bimbo sano e bello.

Nei primi anni settanta dovetti purtroppo smettere il mio lavoro di parrucchiere per signora, a causa di un artrite deformante, che mi impediva di avere le mani sempre immerse nell'acqua, una situazione veramente poco indicata per questa malattia. Tramite un amico trovai lavoro come rappresentante di commercio. Per un periodo feci il venditore di arredamento per bagno, poi di cosmetici. Questo per ben 14 anni. In seguito, per gli stessi articoli fui ispettore per diversi anni, viaggiando molto, dalla Sicilia alla Germania, ed anche in Austria e Svizzera. Questo sino all'arrivo della pensione a 65 anni, nel 1993.

Non mancava nella mia vita la musica, ed in quel periodo avevo cominciato a suonare con un orchestra di liscio al Lido di Bellagio. In quel bellissimo locale sul lago suonammo per tutte le feste e durante i mesi estivi. Andammo avanti così per cinque anni, quindi ci spostammo a suonare in montagna, nella zona denominata Piano del Tivano, in un locale chiamato "Al fuìn", cioè alla faina. Lì facemmo musica per 23 anni. Ogni tanto capitava qualche disaccordo con gli amici orchestrali, e per tre volte lasciai l'orchestra. Ma solo per brevi periodi, perché presto venivo richiamato dai colleghi, e dopo le doverose scuse, si ricominciava a suonare. Nei periodi in cui mi allontanavo dalla mia gruppo musicale venivo scritturato da un'altra orchestra. Per me era facile perché suonavo il clarino, il sassofono, la fisarmonica, ed inoltre cantavo anche un po'.

Purtroppo per la nostra famiglia, giunsero anche degli eventi tristi. Nel 1980 Sonia si ammalò di meningoencefalite. Ricoverata nell'ospedale di Lecco, rimase in coma per 14 giorni. Venne operata una prima volta al cervello, con esito negativo e conseguenti crisi epilettiche. Non ci fu nessun miglioramento, malgrado le cure. A 19 anni Sonia venne operata una seconda volta, con scarso miglioramento. Nel 1997 conoscemmo uno specialista, un luminare di questa malattia, di fama mondiale, che dopo aver valutato attentamente la situazione clinica, decise di operare Sonia per la terza volta, con esiti soddisfacenti. Pur non completamente guarita, necessitava di cure costanti, ma non ha più avuto crisi. Dopo la sua prima operazione doveva prendere ben 28 pasticche di barbiturici al giorno! Oggi a me sembra miracolata. Il miracolo però lo ha fatto il dottor Munari che l'ha operata la terza volta.

Anche il clima nella famiglia era cambiato, e quindi nel 1977 io e mia moglie decidemmo di separarci, con gravi conseguenze per i figli che si sono trovati a vivere con mamma e papà lontani l'uno dall'altra. Separati! Un vero disastro per i figli, più che per i genitori.

In questi ultimi anni, nelle domeniche mattina e nei momenti liberi, mi dedico all'insegnamento della musica ai giovani di Esino, sia per rinfoltire di giovani la banda, sia per garantire il futuro a questa bella istituzione. Deceduto il maestro che 'tirava' la banda da molti anni, mi sono dovuto decidere io a prenderla in consegna, fino a tutto il 2008. Ora che è terminata la mia esperienza con la banda, mi diletto a suonare e cantare nelle varie feste paesane. Il mio repertorio è costituito da tanghi, valzer e varie canzoni popolari. Per continuare a lavorare, mi diletto nel tagliare la legna nei boschi, aiutato dalla mia fida motosega.

Qualche tempo dopo la separazione coniugale, precisamente nell'agosto del 1981, conobbi una ragazza che aveva vent'anni. Ci siamo frequentati per circa dieci anni. Andavamo d'accordo, però lei si sentiva trascurata, sia a causa del mio lavoro che mi portava spesso lontano da casa, ma anche perché io avevo dei doveri nei confronti dei miei figli. Decidemmo di provare a farci una famiglia nostra, ma la cosa non riuscì. Lei prima mi abbandonò ma poi, evidentemente pentita, cercò con molta delicatezza di riallacciare la nostra relazione. Io però avevo incontrato un'altra donna, la persona con la quale oggi sono insieme e con la quale vado molto d'accordo. Lei è molto giovane (ha 45 anni), ed è divorziata. Ci troviamo benissimo su tutto. E la vita continua, speriamo ancora a lungo così!

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