Benito Mussolini
Vita di Arnaldo


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     Ora, alla mente si affollano gli interrogativi, i «perché» crudeli dell'irreparabile, i «se» dubitativi; ognuno di noi è portato ad illudersi che il corso delle cose avrebbe potuto essere diverso, se i medici gli avessero imposto il riposo; se non fosse stato, la domenica prima, due ore immobile in una temperatura glaciale per assistere a una partita di calcio; se io fossi stato messo al corrente dei disturbi di cui negli ultimi giorni aveva sofferto; se egli stesso non avesse ordinato ai suoi segretari di non dirmi verbo sulle visite dei medici; e i «se» potrebbero continuare. In realtà, dal 15 novembre del 1928, Arnaldo, aveva avuto spezzati tutti i meccanismi vitali, che tuttavia durarono ancora due anni per forza d'inerzia. Dopo avere tanto sofferto, la Morte fu più benigna della vita: lo colse all'improvviso e lo portò di là — in un attimo — senza farlo soffrire.
     Egli fu un «buono». Questa virtù della «bontà» era innata in lui. Buono, il che non significa debole, poiché la bontà può benissimo conciliarsi con la più grande forza d'animo, col più ferreo adempimento del proprio dovere. La bontà non è soltanto questione di temperamento, ma di educazione. E ancora essa — negli anni maturi — è il risultato di una visione del mondo, visione nella quale gli elementi ottimistici superano i pessimistici, poiché la bontà non può essere scettica, ma deve essere credente. Arnaldo era quindi portato alla bontà da questo triplice ordine di elementi, non mai da un calcolo politico o da una ricerca di popolarità. L'esercizio della sua bontà era estremamente riservato. Chiedeva di non fare pubblicità. Implorava — specie negli ultimi tempi — che tutto si svolgesse in silenzio. Solo oggi, dalle lettere che ricevo, ho l'impressione della estensione presa da quest'opera di bontà. La quale non era soltanto di ordine materiale. Un giornale è come una riva dell'oceano, su cui finiscono respinti dalle onde procellose, a poco a poco, tutti coloro per i quali la vita fu un problema mai risolto o una sofferenza non mai placata. Si può essere «buoni» accordando un sussidio, interessandosi per un posto, trovando un alloggio e anche dicendo una parola di umanità o muovendo un severo richiamo. Essere buoni significa fare del bene, senza trombe pubblicitarie e senza speranza di ricompensa nemmeno divina. Rimanere «buoni» tutta la vita: questo dà la misura della vera grandezza di un'anima! Rimanere buoni, malgrado tutto, cioè malgrado gli inganni tesi alla buona fede dai mistificatori, malgrado le ingratitudini e gli oblii, malgrado il cinismo dei professionali: ecco una vetta di perfezione morale alla quale pochi giungono e sulla quale pochissimi restano! Il «buono» non si domanda mai, se vale la pena. Egli pensa che vale sempre la pena. Soccorrere un disgraziato, anche se immeritevole; asciugare una lacrima, anche se impura; dare un sollievo alla miseria; una speranza alla tristezza; una consolazione alla morte, tutto ciò significa non considerarsi estranei all'umanità, ma partecipi — carne e sangue — di essa: significa tessere la trama della simpatia, con fili invisibili, ma potenti, i quali legano gli spiriti e li rendono migliori. Nell'esercizio di questa virtù, Arnaldo dedicò tutto se stesso dopo la morte di Sandro. Egli non ebbe allora che un pensiero e un proposito: fare del bene per onorare la memoria del figlio: del bene a tutti, amici, indifferenti ed anche nemici. Non tanto suoi personali — che, forse, non ne ebbe — quanto del nostro tempo e del nostro trionfo. Era lontanissimo dalle sue intenzioni, ma non v'è dubbio che questa sua opera giovava anche al Fascismo.