Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     Gli uomini che nelle terre di oltre mare deposero le armi e accettarono la resa, invece di passare subito a bandiere spiegate, con lealtà assoluta, dalla parte della Germania, commisero — in buona o mala fede — un enorme delitto.
     Su terre bagnate dal sangue e dal sudore italiano la bandiera della Patria non doveva mai essere ammainata, non si doveva mai esporre il soldato italiano al ludibrio o peggio ancora alla sarcastica compassione delle popolazioni balcaniche; non bisognava mai abbandonare al loro destino le migliaia di civili italiani — uomini, donne, bambini — che avevano osato varcare il mare fidando nella protezione delle Forze Armate d'Italia, ed ora si vedevano abbandonati alle violenze spesso omicide di plebi ostili.
     Di quelle che furono la 9a e la 11a armata non esistono che gli internati in Germania e gruppi di sbandati nelle montagne della Grecia o reparti di lavoratori in Serbia.
     In Albania sono rimasti ottomila Italiani, sospettati, indifesi, che adesso cercano di ricucire le fila del tessuto, in mille pezzi stracciato, con quell'eterna ansia e fatica del "ricominciare" che sembra il privilegio e la condanna del popolo italiano.
     Accanto ai vivi, sono rimasti i morti: i quarantamila Caduti della campagna di Grecia.
     C'è ancora qualcuno che custodisce i cimiteri dove dormono i nostri fratelli? Il "campo santo" veramente "santo" di quota 731 chi lo guarda? Le colline dove infuriò la battaglia sono ora avvolte dallo strano profondo silenzio dei luoghi dove uomini contro uomini si scontrarono nella tempesta del ferro e del fuoco; sono i luoghi che i quattrocentomila soldati italiani combattenti in Albania «hanno ancora nostalgicamente nell'animo. Riprendiamo il cammino e guardiamo innanzi a noi.