Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     In tutta questa rapidissima successione di fatti, il Glieli non ebbe alcuna parte. Si fece vedere solo all'epilogo. Gli uomini di Skorzeni, dopo essersi impadroniti delle mitragliatrici che erano state postate ai lati della porta d'ingresso, del rifugio, salirono in gruppo nella stanza del Duce. Skorzeni, sudante e commosso, si mise sull'attenti e disse: «Il Führer, che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti al modo di liberarvi, mi ha dato questo incarico. Io ho seguilo con infinite difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni. Oggi ho la grande gioia, liberandovi, di aver assolto nel modo migliore il compito che mi fu assegnato».
     Il Duce rispose: «Ero convinto sin dal principio che il Führer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia. Lo ringrazio e con lui ringrazio voi, capitano Skorzeni, e i vostri camerati che hanno con voi osato».
     Il colloquio si portò quindi su altri argomenti, mentre si raccoglievano le carte e le cose di Mussolini.
     Al pianterreno carabinieri e agenti fraternizzavano coi Germanici, alcuni dei quali erano rimasti — non gravemente — feriti nell'atterraggio. Alle 15 tutto era pronto per la partenza. All'uscita, Mussolini salutò con effusione i camerati del gruppo Skorzeni e tutti insieme — Italiani compresi — si recarono in un sottostante breve pianoro dove un apparecchio "Cicogna" attendeva.
     Il capitano che lo pilotava si presentò; giovanissimo: Gerlach, un asso. Prima di salire sull'apparecchio, Mussolini si voltò a salutare il gruppo dei suoi sorveglianti: sembravano attoniti. Molti sinceramente commossi. Taluni anche con le lacrime agli occhi.