Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     «Tutto ciò dimostra che i programmi di potenziamento da voi approvati nel 1939-1940 e attuati dalle aziende dell'I.R.I. consentivano di fare largamente fronte ai bisogni delle Forze Armate».
     Dunque: un solo stabilimento aveva prodotto cinquemila bocche da fuoco!
     La caduta è stata di quelle che gli Spagnoli chiamano "verticali". Il raffronto fra quel che era l'Italia nel 1940 e l'odierna, così com'è stata ridotta dalla resa a discrezione, che un popolo degno di questo Dome non avrebbe mai salutato con esplosioni di giubilo come quelle che avvennero dopo l'8 settembre e delle quali una eco abbastanza forte giunse anche al Rifugio del Gran Sasso, il raffronto, dicevamo, è veramente angoscioso. Allora l'Italia era un Impero, oggi non è nemmeno uno Stato. La sua bandiera sventolava da Tripoli a Mogadiscio, da Bastia a Rodi, a Tirana; oggi è dovunque ammainata. Nel territorio metropolitano sventolano bandiere nemiche. Gli Italiani erano ad Addis Abeba, oggi gli Africani bivaccano a Roma.
     Qualsiasi italiano — di qualsiasi età, categoria, vecchio, giovane, uomo, donna, operaio, contadino, intellettuale — si ponga la domanda: valeva la pena di arrendersi e di infamarsi nei secoli per giungere a questo risultato? Se invece di firmare la capitolazione la guerra fosse continuata, l'Italia si troverebbe in una situazione peggiore di quella nella quale si trovai dall'8 settembre in poi?
     Oltre alla catastrofe "morale" non v'è italiano che non risenta su di sé le conseguenze fatali di quella decisione. Non v'è famiglia italiana che non sia stata travolta nel turbine, mentre le famiglie dei trecentomila Caduti si domandano se il sacrificio del loro sangue sia stato vano.