(segue) Dialoghi sul Tamigi
(8 dicembre 1938)
[Inizio scritto]

      Benes
      Non c'è da farsi illusioni. Le democrazie vanno in fretta più dei morti e i democratici che si vantano di essere tali sono di una ingratitudine rara e di un cinismo spietato.
      Tafari
      E dire che noi siamo esuli nel mondo per aver giurato sul verbo delle democrazie, per esserci fidati del loro senso di responsabilità e aver creduto alla serietà dei loro propositi.
      Benes
      Il mio caso è identico al vostro. Ma io ho un particolare rimorso nei vostri confronti, in quanto anch'io — come democratico — ho la mia parte di responsabilità nell'avere determinato la vostra rovina.
      Tafari
      Perché?
      Benes
      Vi ringrazio di averlo dimenticato e mi è particolarmente penoso di ricordarvelo. Io ho presieduto l'Assemblea della Società delle Nazioni che decretò le sanzioni contro l'Italia.
      Tafari
      Già; e fu allora che — credendomi forte della solidarietà societaria — mi decisi a giocare il tutto per il tutto. Eden mi faceva dire di resistere perché 52 Stati mi davano, la loro completa solidarietà. Ai fu un momento in cui io potevo forse negoziare, ma da Ginevra il mio rappresentante Jeze mi fece sapere che l'Italia era agli sgoccioli, in preda alla fame e alla rivolta, che l'antifascismo avrebbe trionfato e che trattare con l'Italia sarebbe stato il più nero dei tradimenti nei confronti della Lega...
      Benes
      Qualche cosa d'identico a quanto mi è accaduto. Se io avessi obbedito al mio istinto, io avrei negoziato con Henlein e avrei finito per accettare i famosi otto punti di Karlsbad. Si salvava lo Stato ed io sarei ancora nel Castello presidenziale di Praga. Ma da Parigi mi si disse: resistete. Quando le cose si complicarono mi si disse: mobilitate. La Francia proclamava — soprattutto alla fine di ogni banchetto — che la sua firma era «sacra»; che avrebbe marciato; che il trattato di alleanza era un autentico trattato e niente affatto un chiffon de papier; che fare una qualsiasi concessione a Hitler voleva dire consacrare il trionfo delle dittature; che se la Francia non avesse marciato in soccorso dell'Alleata essa si sarebbe macchiata di un'onta senza nome, anche nei confronti di quello che i governanti di Parigi chiamavano il più democratico degli Stati sorti a Versaglia. Avrebbe perduto tutte le sue posizioni danubiane e rassegnate le dimissioni da grande Potenza. Chi poteva dubitare? È vero che gettando, di quando in quando, un colpo d'occhio sulla posizione del mio e degli altri Paesi, mi domandavo come questi aiuti avrebbero potuto arrivarmi; ma i Francesi mi facevano sapere che, se il gallo avesse cantato, anche il leone britannico avrebbe allungato la zampa, e col suo ruggito avrebbe svegliato l'orso russo, la cui tendenza al letargo è proverbiale. Chi avrebbe tentennato davanti alla promessa di intervento di tanta democratica zoologia? E, invece degli aiuti solennemente promessi, lo Stato cecoslovacco è stato ignominiosamente abbandonato al suo destino e, senza Monaco, forse a quest'ora sarebbe stato cancellato del tutto da questa troppo tormentata carta geografica dell'Europa. Il paradosso della situazione è questo: che, se una Cecoslovacchia esiste ancora — sia pure abbastanza riveduta e corretta — lo si deve a Mussolini.

(segue...)