(segue) Per l'inaugurazione di Aprilia
(29 ottobre 1937)
[Inizio scritto]

      Questo vuoto è colmo. Là dove non vivevano che pochi pastori, oggi vivono 60.000 abitanti, tutti contadini, tutti fedeli alla terra, pionieri meritevoli perciò di essere posti ancora una volta all'ordine del giorno dell'intera Nazione.
      Quello di oggi è un rito particolarmente solenne, gioioso e pacifico. Poiché il popolo italiano desidera di essere lasciato al suo lavoro intensissimo nelle terre della Madre Patria e in quelle dell'Impero.
      È nell'interesse di tutti che questo lavoro non sia minimamente turbato. Poiché io conosco bene i rurali d'Italia e so che essi sono sempre pronti a far zaino in ispalla e cambiare la vanga col fucile.
      (La moltitudine grida con una sola voce: «Sì!»).
      Desidero anche aggiungere che gli interessi dei coloni saranno rigorosamente rispettati. Noi vogliamo, desideriamo che in un periodo di tempo il più breve possibile i coloni diventino proprietari di quella terra che essi fecondano col loro sudore.
      È tenendo ferma questa solida base rurale e ostacolando lo sviluppo malsano delle grandi città che noi conserveremo i rapporti normali ed equilibrati fra le diverse classi della popolazione e avremo sempre un popolo forte e arbitro dei suoi destini.
      Camerati rurali di Aprilia, di Pontinia, di Littoria e di Sabaudia!
      Voi potete contare sulla mia simpatia: è la simpatia di un uomo che ha l'orgoglio di dirvi che nelle sue vene scorre il sangue di autentici rurali.