(segue) Crepuscolo
(13 giugno 1937)
[Inizio scritto]

      Ora un esercito nel quale i capi vengono fucilati o spie o innocenti, è un esercito che non può durare, è una massa che deve disintegrarsi, è comunque una forza che non può più intraprendere alcunché oltre le sue frontiere e sul cui aiuto la Francia, ad esempio, deve ormai essere rassegnata a non contare minimamente.
      È questa Russia, dove il massacro è all'ordine del giorno e della notte, che le cosiddette grandi democrazie dell'occidente hanno corteggiata; è questa Russia che avrebbe voluto, con la complicità morale e materiale delle sunnominate grandi democrazie, trasportare i suoi usi e costumi di autentica ancestrale barbarie nel Mediterraneo latino, e ci sarebbe riuscita, se la parte migliore della Spagna non fosse insorta e se i legionari italiani non fossero volontariamente accorsi a lottare eroicamente nel nome di Roma, contro Mosca. È questa Russia che noi vediamo sprofondare nel baratro delle sue utopie assurde, del suo supercapitalistico caos sociale, della sua miseria infinita, dei suoi crimini atroci e innumerevoli, che disonorano il genere umano, anche quello approssimativo ed arretrato che li vede compiere.
      Davanti a questo spettacolo, quale orgoglio deve vibrare nei cuori delle Camicie Nere d'Italia, che sono state le prime a combattere il bolscevismo, che vi hanno opposto la barriera dei loro petti, che hanno guarito l'Italia e dall'Italia segnato la via della salvezza all'Europa, che hanno compiuto e compiono una rivoluzione costruttrice e umana, che abbraccia e trasforma gradualmente e profondamente tutte le manifestazioni della vita del popolo, dallo spirito alla materia.
      L'astro, ormai spento, di Lenin, declina all'orizzonte in un mare di sangue inutilmente versato, mentre sempre più alto splende nel cielo il sole abbagliante e fecondatore di Roma.