(segue) Jagoda
(8 aprile 1937)
[Inizio scritto]

      Gli uomini che una volta furono esaltati dagli armenti umani della Russia e di altri paesi come rivoluzionari, oggi compaiono davanti ai tribunali militari in veste di controrivoluzionari e sono spediti all'altro mondo. Dove sono andati, per esempio, a finire i ventun membri del Comitato centrale bolscevico, nominato nel sesto Congresso svoltosi nell'agosto del 1917, cioè alla vigilia della rivoluzione? Di essi sette sono morti di morte più o meno naturale, altri sei sono stati relegati nella burocrazia esecutiva e in posti di infimo ordine, gli altri sette appartengono o appartenevano alla controrivoluzione. Difatti Zinoviev, Kamenev, Sokolnikov, Smilga sono stati condannati a morte nel primo processo anti-trozkista, Bucharin è sospetto, Trozki bandito: non è restato in piedi — finora — che Stalin.
      Il processo numero 2 contro il cosiddetto «centro parallelo» trozkista si è chiuso mesi or sono con un'altra ecatombe di vecchi rivoluzionari e con la condanna alla reclusione di Radek, il massimo giornalista del regime.
      L'arresto di Jagoda annuncia la preparazione del terzo processo contro i trozkisti, onde ottenere la liberazione della Russia dalla lebbra trozkista, diventata l'allucinante ossessione dei nuovissimi zar imperversanti al Cremlino.
      Tutto ciò fu deciso nella seduta segreta del Comitato Centrale del Partito Comunista tenutasi a Mosca il 3 marzo scorso e della quale solo in questi giorni si è data ampia pubblicità da parte della stampa ufficiale bolscevica.
      Stalin ha esposto in una lunga relazione la situazione niente affatto brillante nella quale versa la Russia all'interno. Stalin ha denunciato l'esistenza di un'attività sabotatrice dei trozkisti collegati con agenti di Stati esteri, attività che è penetrata in quasi tutte le organizzazioni sovietiche, non escluso il partito, e non esclusi nemmeno i posti direttivi del Partito. Le cause di ciò sono da rintracciare — è sempre Stalin che parla — nella «noncuranza politica» dei dirigenti bolscevichi, nella loro incapacità a resistere all'azione del trozkismo, divenuto — secondo Stalin — «una banda di spie, sabotatori, assassini». Quali rimedi esige e propone il dittatore bolscevico? Egli li ha fissati in dodici punti. Il 5° punto dice testualmente che il «trozkismo, non essendo più una corrente politica della classe operaia, ma una banda di spie, sabotatori, assassini, esso va combattuto non con parole, ma con ferree rappresaglie». Al punto 8° è detto che «il peggiore sabotatore è quello che lavora bene di volta in volta, per non essere smascherato». Al punto 10° si afferma che «lo stakonovismo (specie di sistema Bedeaux portato alla ferocia) non annulla i risultati del sabotaggio quando non sia validamente e costantemente difeso». Il punto 11° mette in guardia contro l'idea che Trozki non abbia più forze o riserve, perché invece ne dispone nei paesi stranieri, e sono la 4a internazionale, i social-democratici norvegesi che diedero asilo a Trozki, il gruppo Suvarin in Francia, i gruppi Ruthi, Fisher, Maslow fra gli emigrati tedeschi, il gruppo americano Eastmann. Ne consegue che Trozki è in grado di disturbare energicamente i piani più o meno quinquennali e regolarmente falliti di Stalin.

(segue...)