(segue) Discorso del XIV novembre per lo Stato Corporativo
(14 novembre 1933)
[Inizio scritto]


      L'applauso col quale ieri sera avete accolto la lettura della mia dichiarazione mi ha fatto domandare stamane se valeva la pena di fare un discorso per illustrare un documento che è andato direttamente alle vostre intelligenze, ha interpretato le vostre convinzioni ed ha toccato la vostra sensibilità rivoluzionaria.
      Tuttavia può interessare di sapere attraverso quale ordine di meditazione, di pensiero, io sia giunto alla formulazione della dichiarazione di ieri sera.
      Ma prima di tutto voglio fare un elogio di questa Assemblea e compiacermi delle discussioni che si sono svolte.
      Solo dei deficienti possono stupirsi che si siano determinate delle divergenze e che siano apparse delle sfumature. Tutto questo è inevitabile: vorrei dire necessario.
      Armonia è armonia, la cacofonia è un'altra cosa.
      D'altra parte discutendosi di un problema così delicato come è l'attuale, è perfettamente logico ed inevitabile che ognuno porti non soltanto la sua preparazione dottrinale, non soltanto il suo stato d'animo, ma anche il suo temperamento personale.
      Il più astratto dei filosofi, il più trascendente dei metafisici non può del tutto ignorare né prescindere da quello che è il suo temperamento personale.
      Ricorderete che il 16 ottobre dell'Anno X, innanzi alle migliaia di Gerarchi venuti a Roma per il Decennale, a Piazza Venezia, io domandai: questa crisi che ci attanaglia da quattro anni — adesso siamo entrati nel quinto da un mese — è una crisi «nel» sistema o «del» sistema?
      Domanda grave, domanda alla quale non si poteva rispondere immediatamente.
      Per rispondere è necessario riflettere, riflettere lungamente e documentarsi.

(segue...)