Lezioni della realtà
(12 maggio 1932)


      Articolo pubblicato sul «Popolo d'Italia», il 12 maggio 1932.

      Ci sono delle notizie sulle quali bisogna immediatamente e violentemente richiamare l'attenzione del pubblico, prima che esse scompaiano nella congerie delle cose che passano e si dimenticano. Una di queste notizie ci viene da Londra e concerne il notevole aumento della disoccupazione inglese del mese di aprile, aumento, tanto se si confronta con quella del precedente mese di marzo e — soprattutto — con quella del mese di aprile 1931. L'aumento è il seguente: 84.849 più che nel marzo u. s.; 132.068 più che nell'aprile del 1931. Totale 2.652.181. È una cifra imponente, che ha offerto al Times materia per un commento non precisamente allegro. Questo aumento si verifica dopo sette mesi dal giorno in cui il Governo inglese abolì la convertibilità della sua sterlina in oro e fece come suol dirsi «slittare» la moneta. I soliti inflazionisti — le cui voci, ad onore del vero e della più elementare intelligenza umana vanno diventando sempre più fioche — plaudirono più o meno palesemente alla decisione inglese. La quale, bisogna ricordare, non fu presa a cuore leggero. L'Inghilterra resisté fino all'ultimo, prima di mollare alla deriva quella moneta ch'essa aveva rivalutato per poter guardare — come si disse — negli occhi il dollaro; quella moneta che era l'orgoglio morale dell'impero; una garanzia e una testimonianza del suo prestigio; un termine fisso di misura in tutti gli scambi internazionali.
      Il Governo inglese oppose allo slittamento una resistenza strenua che si potrebbe chiamare eroica; tentò tutte le vie, non esclusa quella di un indebitamento, nelle ultime settimane che precedettero il crollo, di ben 130 milioni di sterline; pari a circa 12 miliardi di lire; e fu solo quando Stati Uniti e Francia rifiutarono ulteriori munizioni che la cittadella della sterlina inalzò, fra lo stupore del mondo, la bandiera della resa. Ci si domanda: perché tanta resistenza, perché tanto sacrificio, se vi era, non diciamo la certezza, ma la semplice speranza, che la «tosatura» della sterlina avrebbe riaperto le bloccate vie del benessere e della prosperità, e segnata la ripresa, dopo la crisi? La realtà è che nessuno si faceva delle illusioni: nessuno credeva e nessuno sperava, salvo i malati cronici i quali chiedono una medicina qualunque essa sia, e se la sterlina non fece la fine del marco, lo si deve alle risorse tuttavia enormi dell'impero: e anche al controllo di se stessi, di cui hanno dato prova, in alto e in basso, tutti indistintamente gli inglesi. I quali, passate le prime tremende giornate di una mortificazione senza precedenti — la mortificazione dei dissestati — si resero conto dello stato di assoluta necessità nel quale si era trovato il Governo e ritrovarono il loro equilibrio e la loro capacità di resistenza in quella specie di ottimistico fatalismo insulare, che spiega, insieme con la psicologia del popolo, molti eventi, tra i più grandiosi della storia inglese. Dopo il tracollo della sterlina, il Governo britannico iniziò la politica del protezionismo. Le conseguenze che il Governo di Londra si riprometteva da questa duplice manovra erano le seguenti: con la svalutazione della sterlina, eccitare l'esportazione; con le barriere doganali, ridurre o eliminare l'importazione di merci straniere. Risultato: una maggiore occupazione della massa operaia, una maggior capacità di consumo da parte di questa massa ritornata al lavoro e quindi l'occupazione operaia più sicuramente garantita, riattivati i traffici, modificato il corso della crisi. Le cifre dell'aumentata disoccupazione ci dicono che tutto ciò non si è minimamente verificato.

(segue...)