(segue) La Roma di Mussolini
(18 marzo 1932)
[Inizio scritto]

      A pagina 369 del libro di Antonio Monti pubblicato dal R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere si legge questa lettera del giugno 1860: «L'Italia bisogna che sia a Roma e Roma bisogna che sia dell'Italia. La Venezia dovrà esserlo e lo sarà a suo tempo; ma, per fare l'Italia spiritualmente, occorre Roma e Roma l'avremo in qualunque modo: l'Italia senza Roma è un corpo morto».
      Il piano regolatore doveva, quindi, rispettare in sommo grado tutto ciò che rappresenta la testimonianza vivente della gloria di Roma antica. Ma un conto, o signori, sono i monumenti, un conto sono i ruderi, un conto è il pittoresco o il cosiddetto colore locale.
      Nel 1864 il signor Ippolito Taine, che fu certamente una delle più forti intelligenze che abbia avuto la Francia nel secolo scorso, venne a Roma e la definì «una pacifica e poetica necropoli». Così parlava dei vecchi palazzi: «immensi chiostri, alte muraglie come di prigioni, facciate monumentali. Nella corte nessuna anima viva, è un deserto. Talvolta una dozzina di fannulloni seduti sul selciato fanno mostra di cogliere l'erba. Si direbbe che il palazzo sia abbandonato». E di quella aristocrazia romana, che oggi energicamente lavora nelle bonifiche e sta trasformando l'Agro, diceva che «rassomigliava ad una specie di lucertola rannicchiata nella corazza di un coccodrillo, il coccodrillo era bello, ma morto». (Si ride).
      Vediamo il colore locale di taluni quartieri di Roma così come si presentava appena mezzo secolo fa. «Palazzo Farnese è in un laido quartiere. Per andare al Palazzo Cenci, così rovinato e fosco, vi sono vie tortuose attraversate da rigagnoli fetidi o in mezzo a case dalla facciata che pare tutta slogata, tanto che sembra l'ernia di un idropico, in mezzo a corti nere trasudanti il sudiciume si attorcigliano con i loro budelli intorno ad un muro coperto dalla sporcizia di un secolo». Vediamo, ora, se in altri quartieri vi erano condizioni migliori: «Nel ritornare da San Pietro, ho trovato un quartiere indescrivibile, orrido, con viuzze infette, corridoi viscidi». Tuttavia ammetteva in altra parte del suo libro che il popolo romano aveva in se stesso energia barbara e cercava uno sfogo. E bisogna che vi legga una pagina ammonitrice anche a distanza di tempo:

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