L'art. 13 della legge sui rapporti collettivi di lavoro
(11 dicembre 1925)


      Alla Camera dei Deputati, nella tornata dell'undici dicembre 1925, si discusse il disegno di legge su la disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro. Quando si giunse all'articolo 13, il Duce prese la parola. L'articolo in discussione era il seguente:
      «Art. 13. - Tutte le controversie relative alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro, che concernono, sia l'applicazione dei contratti collettivi o di altre norme esistenti, sia la richiesta di nuove condizioni di lavoro, sono di competenza delle Corti di Appello funzionanti come magistrature del lavoro.
      «Prima della decisione è obbligatorio il tentativo di conciliazione da parte del presidente della Corte. «Le controversie di cui alla precedente disposizione, si possono compromettere in arbitri, a norma degli articoli 8 e seguenti del Codice di procedura civile. «Nulla è innovato circa la competenza dei Collegi dei probiviri e delle Commissioni arbitrali provinciali per l'impiego privato, ai sensi rispettivamente della legge 15 giugno 1893, n. 295 e del R. Decreto-legge 2 dicembre 1923, n. 2186. «L'appello contro le decisioni di tali collegi e Commissioni e di altri organi giurisdizionali in materia di contratti individuali di lavoro, in quanto siano appellabili secondo le leggi vigenti, è devoluto alla Corte di appello funzionante come magistratura del lavoro».
      Da questo articolo il Duce prese occasione per pronunciare questo discorso, che segna un'altra tappa fondamentale nell'attuazione e nello sviluppo del corporativismo fascista.

      Credo che anche in questa circostanza il mio discorso sarà un fatto, cioè un peso che io getto sulla bilancia dopo una lunga e severa meditazione. Questo articolo 13 è veramente quello che si potrebbe definire, prendendo un termine caro al mio amico Paolo Orano, il punto cruciale di questa legge.

(segue...)