(segue) Il primo tempo della Rivoluzione
(30 giugno 1925)
[Inizio scritto]


      II.
      La rivoluzione non è tutta compresa nell'episodio insurrezionale. L'insurrezione è un, momento della rivoluzione e non è sempre cronologicamente il primo. Qualche volta parecchie insurrezioni accompagnano lo sviluppo di una rivoluzione. In genere, tutte le rivoluzioni hanno, al loro inizio, un andamento confuso. Come tutte le creazioni dello spirito, le rivoluzioni non hanno immediatamente la coscienza di se stesse, delle loro possibilità e delle loro necessità. Nell'inizio del passaggio dal vecchio al nuovo — passaggio che dà le caratteristiche ebbrezze e dedizioni delle epoche rivoluzionarie — le linee di sviluppo appaiono incerte e le mete imprecise. Vedasi la prima fase della rivoluzione francese. Ma poi l'urto fra passato ed avvenire diventa sempre più ampio e inesorabile; la logica della necessità — la logica della vita, insomma — impone a tutti una scelta e una posizione di battaglia; le idee e i programmi transazionali diventano impossibili e assurdi; la rivoluzione fa la sua strada, crea le sue leggi, fonda il suo regime.
      Nell'ottobre del 1922 la rivoluzione fascista in quale misura aveva la coscienza di se stessa? Se prima di entrare in Roma il Fascismo avesse dovuto sostenere una battaglia campale, non vi è dubbio che la rivoluzione fascista avrebbe immediatamente preso il ritmo e la fisionomia delle classiche rivoluzioni. È vero che scontri sanguinosi vi furono in parecchie città d'Italia, ma battaglia campale no, anche perché il Governo, quando si avvide che tutti gli edifici pubblici di tutta Italia erano nelle mani degli insorti fascisti, stimò prudente dimettersi, senza resistere. Ora una rivoluzione che ha l'esordio relativamente facile corre il grave pericolo di involversi anzi tempo; corre il pericolo di non mai arrivare alla coscienza di se stessa — cioè alla coscienza delle sue origini e dei suoi fini — e quindi corre il pericolo di fallire al suo compito. Questo pericolo fu grande alla fine d'ottobre 1922, quando le bandiere, le fanfare, gli applausi, le ondate di consenso, la latitanza degli avversari, potevano giustificare molte illusioni e sospingere alle soluzioni transazionali. Queste illusioni e soluzioni, io evitai. Feci un Ministero di coalizione, ma ignorando rigorosamente tutti i vecchi partiti e affidando ai fascisti i ministeri essenziali; mi presentai al Parlamento, ma per umiliare quella Camera imbelle pronunciando il discorso più antiparlamentare che le storie ricordino; non feci leggi eccezionali, ma chiesi ed ottenni i pieni poteri, il che significa ridurre la potestà e la funzione del Parlamento ai minimi termini. Il volto della nostra rivoluzione già si delineava nel novembre del 1922 e anche il suo carattere anti-parlamentare, anti-democratico, anti-liberale, carattere che assunse immediato rilievo, pochi mesi dopo, quando il partito popolare accennò nel Congresso di Torino alle prime incompatibilità, che io non attenuai, ma esasperai, per rendere l'esodo dei popolari inevitabile e quindi più fascista la composizione del Governo.

(segue...)