(segue) La donna e il voto
(15 maggio 1925)
[Inizio scritto]

      Non facciamo nemmeno una questione di nord o di sud, dando ad intendere che sia soltanto il nord che vuole questo voto, semplicemente perché il nord è industriale e che il sud, agricolo, non lo desidererebbe. Non è vero. Intanto è sintomatico che i relatori della minoranza siano tutti meridionali, e d'altronde è sintomatico che i relatori della maggioranza, quelli che in quest'aula hanno parlato contro, siano uno toscano e l'altro bolognese.
      Spogliamo, dunque, il dibattito da questi elementi che ad esso sono aderenti. E voglio dire anche all'onorevole amico Lupi, che noi siamo un partito di massa, oramai, e che oramai, quindi, non possiamo più prescindere dal suffragio universale.
      Vado più in là, e dico che, se oggi, dovessimo contare su certi ceti ristretti e dovessimo chiedere a questi ceti il loro suffragio, noi avremmo delle fierissime sorprese.
      Non siamo e non vogliamo essere più un cenacolo di politici; da tre anni siamo un partito di massa ed accettiamo, di questa situazione, tutti i danni ed anche gli enormi vantaggi.
      Non è vero che la questione non sia sentita. Concordo con l'amico Lupi e dichiaro anch'io che nelle mie peregrinazioni non ho mai trovato una donna che mi abbia chiesto il diritto di voto. Questo torna ad onore delle donne italiane. Si capisce! Nel dopoguerra abbiamo avuto altre gatte da pelare, abbiamo avuto altre questioni e ne abbiamo ancora di così formidabili sul tappeto che la questione del suffragio femminile amministrativo può essere ritenuta di ordine secondario. Ma io ho qui un pacco di telegrammi dei fasci femminili, dico fasci femminili, che reclamano questo modesto diritto; e il primo che ho sott'occhio reca una firma che ci deve far meditare; è la firma della signora Pepe, la madre dell'assassinato Ugo Pepe di Milano. Il telegramma dice: «Forte nucleo di donne fasciste e famiglie caduti fascisti inviano mio mezzo adesione voto femminile».

(segue...)