Per la cittadinanza di Roma
(21 aprile 1924)


      La città di Roma volle offrire la cittadinanza al Duce, e scelse per tale cerimonia il 21 aprile, giorno del Natale di Roma. La solenne celebrazione ebbe luogo nella Sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio. Il Regio Commissario della Città, Sen. Cremonesi, illustrò i motivi dell'offerta. A lui rispose S. E. il Capo del Governo con il seguente discorso:

      Onorevole Senatore! Eccellenza! Signori!
      Voi mi rendete, oggi, l'onore più alto, forse, che possa capitare a un uomo e a un italiano e non vi stupirà se vi dico che si avvicendano nel mio spirito sensi di trepidazione e di orgoglio e che la commozione turba il mio cuore per triplice via. Mi è consentito di dire «civis romanus sum», oggi, annuale di Roma, oggi, festa del lavoro italiano e su questo colle che, dopo il Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle genti del mondo civile.
      Ond'è che io mi domando: «Merito io questo riconoscimento solenne? sono degno di essere annoverato tra i figli della città incomparabile?». In verità, avrei preferito che Roma madre mi avesse accolto cittadino del suo popolo, a opera finita. Che cosa ho fatto per l'Italia? Poco. Per Roma? Nulla o quasi. L'opera è appena incominciata. Mi premiate in anticipo. Ma se questo gesto eccezionale e inaspettato intende essere la vostra testimonianza del mio amore grandissimo per Roma, allora io lo accolgo con coscienza grata e tranquilla.
      Sino dai giorni della mia lontana giovinezza, Roma era immensa nel mio spirito che si affacciava alla vita, e dell'amore di Roma ho sognato e sofferto e di Roma ho sentito tutte le nostalgie. Roma! e la semplice parola aveva un rimbombo di tuono nella mia anima. Più tardi, quando potei peregrinare tra le viventi reliquie del Foro e lungo la Via Appia o presso i grandi templi, sovente mi accadde di meditare sul mistero di Roma, sul mistero della continuità di Roma. Mistero è l'origine. La cosiddetta critica storica può industriarsi a sfrondare la leggenda, ma sempre una zona d'ombra rimane, dove la leggenda — insostituibile dal freddo e spesso assurdo ragionamento — torna superbamente a fiorire. La critica non può dirci per quali doti segrete, o per quale disegno di una intelligenza suprema, un piccolo popolo di contadini e di pastori poté grado a grado assurgere a potenza imperiale e tramutare, nel corso di pochi secoli, l'oscuro villaggio di capanne sulle rive del Tevere in una città gigantesca che contava i suoi cittadini a milioni e dominava il mondo con le sue leggi.

(segue...)