Ai giornalisti lombardi
(27 ottobre 1923)


      A Milano, nel salone del Cova, l'Associazione Lombarda dei Giornalisti offerse un «vermuth» d'onore a S. E. il Capo del Governo, il quale — ricollegandosi alle parole pronunziate a Torino all'Associazione della Stampa — rispose nel modo seguente al saluto del Consigliere delegato:

      Onorevoli colleghi!
      Ho ritrovato entrando qui dei volti che non avevo dimenticato; vecchi colleghi, giovani, gente con la quale sono vissuto a contatto più o meno quotidiano durante quegli anni di giornalismo che erano e sono la mia passione.
      Bisogna distinguere il giornalista dal pubblicista. Pubblicista è una cosa, giornalista è un'altra. Ci può essere un gran numero di giornalisti che non scrivono nemmeno un articolo del giornale e vi può essere un pubblicista provetto che è negato al giornalismo. Il giornalismo è un istinto. Oserei dire che si nasce giornalisti. Molto difficilmente si diventa giornalisti. Poi è una passione; è qualche cosa che prende tutto lo spirito; si vive del giornale, per il giornale, col giornale. Io non ho dimenticato, andando al Governo, di essere un giornalista e spesso e volentieri prendo dei fogli e scrivo qualche cosa che può interessare gli italiani.
      Ciò ha l'apparenza solenne delle note ufficiose od ufficiali che dir si voglia. Sono invece dei piccoli articoli, sono ancora atti che rivelano la nostalgia del mestiere.
      L'altro giorno a Torino ho tessuta l'apologia di questo nostro mestiere, di questa nostra missione, di questo nostro apostolato che dir si voglia. Non amo le parole solenni.
      Voi sapete che io rispetto il giornalismo e l'ho dimostrato. Desidero soltanto che il giornalismo si renda conto delle necessità storiche, di certe ineluttabilità storiche; desidero che il giornalismo collabori con la Nazione.

(segue...)