(segue) La riforma elettorale
(15 luglio 1923)
[Inizio scritto]

      La vostra collaborazione, o signori popolari, è piena di sottintesi. Il vostro stesso partito ha molti sottintesi. Voi dovreste applicarvi a chiarirli. Non so per quanto tempo ancora potranno restare uniti nella vostra compagine elementi che vogliono collaborare lealmente col Governo nazionale ed elementi che vorrebbero collaborare, ma non possono, perché il loro intimo sentimento non consente loro questo passo e questa collaborazione.
      Voi certamente mi conoscete abbastanza per capire che in sede di discussione politica io sono intransigente. I piccoli mercati dei due quinti e dei tre quarti o di qualche altra frazione di questa abbastanza complicata aritmetica elettorale non può essere un commercio a dettaglio. O si è, o non si è. Sono così poco elettoralista che potrei darvi i trenta o i quaranta deputati che vi interessano, ma non ve li do, perché ciò sarebbe immorale, perché sarebbe una transazione che deve ripugnare alla vostra coscienza, come ripugna alla mia.
      Insomma non si può fornirmi una collaborazione maltusiana.
      Certamente forte è stato il discorso pronunciato dall'onorevole Labriola. Egli ha detto: «Le crisi ministeriali rappresentano il surrogato — bisognerebbe dire ersatz, perché surrogato, dalla guerra in qua, è di natura tedesca — della rivoluzione». È un giudizio troppo semplicista per essere accettato! Può essere che il difetto di crisi ministeriale conduca alla rivoluzione; ma voi avete qui un esempio che vi dimostra come l'eccesso di crisi ministeriali conduca esso pure a una rivoluzione.
      Ma soprattutto mi ha stupito di sentire l'onorevole Labriola manovrare ancora la vecchia nomenclatura della letteratura socialista di secondo ordine: borghesia e proletariato, come due entità nettamente definite e perpetuamente in istato di antagonismo.

(segue...)