(segue) Ai ciechi di Guerra
(18 marzo 1923)
[Inizio scritto]

      Il Governo vi considera come i migliori ed i più nobili fra gli italiani, come coloro che devono essere esempio e vessillo per tutti gli italiani. Questo oggi vi dico e come capo del Governo e come compagno di trincea.
      E come compagno di trincea vi consiglio ad avere fiducia in quello che il Governo farà per voi. In questa fiducia, in questa rinnovata fede di tutti i nostri spiriti gridiamo ancora una volta solennemente: evviva l'Italia.


      Pochi giorni dopo, il 29 marzo, il Duce visitava anche a Milano la Casa del Lavoro per i soldati ciechi di guerra, nella Villa Mirabello del Patronato Lombardo, e rispose al saluto del capitano Emilio Canesi con le seguenti parole:

      Miei cari compagni!
      Quando poco fa uno dei vostri dirigenti mi diceva che voi non vi siete mai lagnati della guerra e dei sacrifici terribili che essa vi ha imposti, anche quando l'Italia sembrava sommersa da un dilagare di istinti e di egoismi antinazionali, io non mi sono stupito perché della guerra si lagnano particolarmente coloro che vi hanno speculato sopra e che non l'hanno fatta se non per imboscarsi.
      Ma coloro che hanno molto donato, coloro che hanno fatto all'Italia nostra una suprema dedizione di amore, i mutilati e i combattenti non si lagnano, ma accettano con romana semplicità ed austerità il loro sacrificio. Quando io mi trovo fra di voi — e l'altro giorno sono stato a Roma alla mensa dei vostri compagni di villa Felicetti — io rivivo tutte le grandi giornate della nostra guerra, tutti i sacrifici sostenuti dal popolo, gli atti di eroismi singoli e collettivi, quanto è costata di sangue e di lagrime la nostra superba vittoria.
      Allora io vi dichiaro che un Governo che non tenesse conto dei vostri diritti sarebbe un Governo indegno e irriconoscente.

(segue...)