Forza e consenso
(1 marzo 1923)


      Articolo pubblicato in «Gerarchia», nel numero di marzo del 1923.

      Certo liberalismo italiano, che si ritiene unico depositario degli autentici, immortali principi, rassomiglia straordinariamente al socialismo mezzo defunto, poiché anche esso, come quest'ultimo, crede di possedere «scientificamente» una verità indiscutibile, buona per tutti i tempi, luoghi e situazioni. Qui è l'assurdo. Il liberalismo non è l'ultima parola, non rappresenta la definitiva formula, in tema di arte di governo. Non c'è in quest'arte difficile e delicata, che lavora la più refrattaria delle materie e in istato di movimento, poiché lavora sui vivi e non sui morti; non c'è nell'arte politica l'unità aristotelica del tempo, del luogo, dell'azione. Gli uomini sono stati più o meno fortunatamente governati, in mille modi diversi. Il liberalismo è il portato e il metodo del XIX secolo, che non è stupido, come opina Daudet, poiché non ci sono secoli stupidi o secoli intelligenti, ma ci sono intelligenza e stupidità alternata, in maggiori o minori proporzioni, in ogni secolo. Non è detto che il liberalismo metodo di governo, buono per il secolo XIX per un secolo, cioè, dominato da due fenomeni essenziali come lo sviluppo del capitalismo e l'affermarsi del sentimento di nazionalità, debba necessariamente essere adatto al secolo XX, che si annuncia già con caratteri assai diversi da quelli che individuarono il secolo precedente. Il fatto vale più del libro; l'esperienza più della dottrina. Ora le più grandi esperienze del dopoguerra, quelle che sono in istato di movimento sotto i nostri occhi, segnano la sconfitta del liberalismo. In Russia e in Italia si è dimostrato che si può governare al di fuori, al disopra e contro tutta la ideologia liberale. Il comunismo e il Fascismo sono al di fuori del liberalismo.

(segue...)