(segue) Discorso di Bologna
(3 aprile 1921)
[Inizio scritto]

      Noi sentimmo allora noi che non eravamo i maddaleni pentiti; noi che avevamo il coraggio di esaltare sempre l'intervento e le ragioni delle giornate del 1915; noi che non ci vergognavamo di avere sbaragliato l'Austria sul Piave e di averla poi mandata in frantumi a Vittorio Veneto; noi che volemmo una pace vittoriosa noi sentimmo subito appena cessata l'esaltazione della vittoria che il nostro compito non era finito ed io stesso sentii che il mio compito non era finito. Difatti ad ogni volgere di stagione si dice che il mio compito e il compito delle forze che mi seguono sia finito. Nel maggio 1915 quando i fasci di azione rivoluzionaria avevano spazzato da tutte le strade da tutte le piazze e le vie d'Italia perfino nei più piccoli borghi d'Italia il neutralismo parecchista si disse: Mussolini non ha più niente da dire alla nazione. Ma quando vennero le tragiche e tristi giornate di Caporetto quando Milano era grigia e terrea perché sentiva che se gli austriaci passavano e venivano nella città delle cinque giornate sarebbe stata la fine dell'Italia tutta allora noi sentimmo di avere ancora una parola da dire.
      E dopo la vittoria quando sorse la scuola della rinunzia più o meno democratica che intendeva amputare la vittoria noi fascisti avemmo il supremo spregiudicato coraggio di dirci imperialisti ed antirinunciatarì.
      Fu quella la prima battaglia che demmo nel Teatro della Scala nel gennaio 1919. Ma come? Avevamo vinto avevamo vinto noi per tutti avevamo sacrificato il fior fiore della nostra gioventù e poi si veniva a noi coi conti degli usurai degli strozzini. Ci si contendevano i termini sacri della patria e c'erano in Italia dei democratici la cui democrazia consiste nel fare l'imperialismo per gli altri e nel rinnegarlo per noi (applausi) che ci lanciavano questa stolta accusa semplicemente perché intendevamo che il confine d'Italia al nord dovesse essere il Brennero dove sarà fin che ci sarà il sangue di un italiano in Italia (applausi). Intendevamo che il confine orientale fosse al Nevoso perché là sono i naturali giusti confini della Patria e perché non eravamo sordi alla passione di Fiume e perché portavamo nel cuore lo spasimo dei fratelli della Dalmazia perché infine sentivamo vivi e vitali quei vincoli di razza che non ci lega soltanto agli italiani da Zara a Ragusa ed a Cattaro ma che ci lega anche agli italiani del Canton Ticino anche a quegli italiani che non vogliono più esserlo a quelli di Corsica a quelli che sono al di là dell'Oceano a questa grande famiglia di 50 milioni di uomini che noi vogliamo unificare in uno stesso orgoglio di razza (applausi). Si notavano già le prime avvisaglie della offensiva pussista. Milano il 16 febbraio assistette fra lo sgomento e il terrore di una borghesia infiacchita e trepidante ad una sfilata di 20 mila bolscevichi i quali dopo avere inneggiato a Lenin dall'alto dei torrioni del castello dissero che la rivoluzione bolscevica era imminente.

(segue...)