(segue) In campo da soli
(29 ottobre 1919)
[Inizio scritto]

      In fondo bisogna pensare che noi eravamo andati — a prescindere da altre questioni — verso forze inconsistenti o quasi. Il nostro gesto liquida diverse situazioni seppellisce organismi già invecchiati e finiti. I liberali più che un partito sono una tendenza. Molti quadri pochi soldati niente masse di popolo. La «Democrazia Lombarda» è un'associazione che ha fatto il suo tempo. In due assemblee in questo periodo di accesa tensione politica non è mai riuscita a raggranellare più di 70 soci. La più stracca delle assemblee fasciste non ha mai avuto meno di duecento presenti... Il blocco di destra verso il quale si inclinava era un matrimonio di convenienza: noi apportavamo la nostra giovinezza il nostro impeto il nostro fegataccio e quelli là ci offrivano la loro dote le loro «posizioni». Ma quando abbiamo aperto gli scrigni abbiamo trovato la dote e le posizioni del 1914: tutta roba che oggi è fuori corso o quasi. A «sinistra» ci avrebbero detto: non comprometteteci parlando di Dalmazia e a destra: non toccate troppo violentemente certi tasti interni perché i 51 sindaci clerico-moderati del collegio di Febo Borromeo e relativi buoni villici potrebbero... squagliarsi! Di fronte a questa situazione ogni fascista — veramente fascista — si convince che soltanto lottando da fascisti si può dare alla lotta la «nostra» colorazione fatta di meditata audacia e di giovanile scapigliatura. La nostra non è una lotta elettorale: questo bisogna bene inchiodarlo nel cervello: è una lotta politica: è la lotta che noi condurremo contro tutte le forze anti-nazionali oggi riassunte e simboleggiate nel governo di Nitti.
      Quando «le teste di ferro» milanesi si riuniranno a comizio lo apriranno con questo grido: A chi l'onore? A Fiume! Viva chi? D'Annunzio! Abbasso chi? Cagoia!