(segue) Al bivio
(30 gennaio 1915)
[Inizio scritto]

      Ma allora è lecito domandargli: quale scopo si prefigge la continuata propaganda antiguerresca che deve culminare nella manifestazione nazionale del 21 febbraio? Che valore ha questa propaganda che deve cessare d'incanto col decreto di mobilitazione? Non è un po' ridicolo questo partito che si batte «eroicamente» finché il «nemico» non si fa vedere e depone repentinamente e non meno «eroicamente» le armi — senza nemmeno tentar di combattere — non appena il nemico scende in campo?
      Il postulato teorico dell'on. Turati è fondato quando abbia per corollario conseguenziale la sospensione immediata di ogni propaganda contro la guerra. Questa propaganda non ha più senso. Ne aveva uno prima del tre agosto ma oggi che la trama dell'internazionale è spezzata e che i «socialisti» sono rientrati nell'orbita delle rispettive nazioni la propaganda di «principio» contro la guerra — come fatto universale — è una superfluità meccanica una esasperante ironia. La guerra è. Nei riguardi dell'Italia ci sono «le» guerre o «una» guerra. E se esiste l'eventualità di una guerra che ci costringa tutti a correre sulle trincee — tutti; se — insomma — si verifica in Italia una situazione analoga a quella della Serbia del Belgio e della Francia l'aver predicato sino alla vigilia l'opposizione a tutte le guerre non potrà influire disastrosamente sull'esito della guerra stessa? Voi temete la disfatta on. Turati ma la propaganda contro la guerra continuata sino al giorno della mobilitazione quand'anche non prorompa nelle rivolte individuali o collettive crea uno «stato d'animo» negativo nelle masse che formeranno gli eserciti. In Italia — lo si voglia o no — per una serie di circostanze non certo ignote all'on. Turati la propaganda contro la guerra scivola nell'herveismo vecchia o nuova maniera.

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