Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     22 Febbraio.
     Sospese le licenze sia per gli ufficiali che per i bersaglieri. Altro sintomo. Rivista alle scatolette e munizioni. Sole. Ore tre del pomeriggio. Giungono da lontano, e passano sulle nostre teste, grossi proiettili destinati alle prime linee nemiche. Le nuvole delle esplosioni oscurano di quando in quando il sole. Sono diventato un fumatore. Conseguenze della trincea. Le «macedonia» sono eccellenti. Gli austriaci rispondono con spring-granate fra la prima e la seconda linea: due morti e cinque feriti della mia compagnia: la quinta. Un ferito al braccio fuma la sigaretta. Due sono gravi.
     

Ferito!

     Nel pomeriggio del 23 febbraio 1917, verso le ore 13, si eseguivano a quota 144 dei tiri d'aggiustamento con un lanciabombe da trincea. Erano attorno a me venti uomini, compresi alcuni ufficiali. La squadra era composta dai soldati più arditi della mia compagnia. Il tiro si era svolto senza il minimo incidente sino al penultimo proiettile. Questo, invece, — e ne avevamo spedite due casse — scoppiò nel lanciabombe. Fui investito da una raffica di scheggie e proiettato parecchi metri lontano. Non posso dire di più. So che venni raccolto quasi subito da altri bersaglieri accorsi, adagiato in una barella, trasportato a Doberdò per le prime cure, portato più tardi in quest'Ospedaletto dove trovai un'assistenza affettuosa, premurosissima. Il capitano medico dott. Giuseppe Piccagnoni, direttore dell'Ospedale di Busto Arsizio, ed i dottori, tutti e due tenenti, Egidio Calvini di San Remo e Luigi Scipioni di Rosolini (Siracusa) mi curarono come se fossi un fratello.