Relazione Araldica sul Casato Adamoli

Viene qui pubblicata una relazione araldica che fu commissionata tra il 1950 e il 1960 da Umberto Adamoli all'Ufficio di Consulenza Araldica di Firenze, a firma del Direttore M. Sichi.
In coda alla relazione, altra voce araldica relativa al Casato Adamoli, di altra provenienza.

Abbiamo svolte attive e diligentissime indagini atte a far luce intorno alla Casata Adamoli ed alle sue origini, ed appoggiandoci su quanto gli attuali rappresentanti di essa asserivano circa la propria terra d'origine dalla Lombardia abbiamo nella vecchia gloriosa regione iniziato il nostro lavoro spigolando attentamente fra opere e stampe a carta manoscritto di archivi e biblioteche, né abbiamo circoscritto l'indagine alle sole opere araldiche e genealogiche, ma l'abbiamo altresì estesa alle storiche generali e particolari, alla storia della Chiesa Cattolica, sotto certi aspetti, vera miniera di nomi e di fatti, ed a quella delle singole attività umane. quindi, richiamandoci alle ricerche storiche che travagliarono le nostre regioni e per cui spesso intere stirpi furono costrette a cercare fuori di patria pace e prosperità, abbiamo allargato la ricerca alle rimanenti regioni d'Italia. Il Crollalanza, nella sua bella opera sulle famiglie nobili e notabili Italiane, alla voce Adamoli, rimanda alla voce Adamo; noi non abbiamo nessun motivo di infirmare o comunque contestare quanto il citato autorevolissimo autore e cultore appassionato degli studi Araldici sostiene. Se studiando l'etimologia del cognome, ci accorgiamo che Adamoli altro non significa che di Adamo, e la nostra famiglia detrae certamente il proprio cognome dal nome proprio battesimale di uno dei suoi figli il cui ricordo sfuma nella notte dei tempi e nei meandri confusi della storia. E' noto che i cognomi Italiani, entrati tardi nell'uso, quando cioè nell'accresciuto sviluppo demografico non fu più possibile riconoscere dal solo nome battesimale seguito dalla paternità, individui di stirpe diversa, essi non assunsero forma stabile e prettamente italiana che nel secolo XVI, rimanendo prima legati alla grafia incerta degli scrivani che per gli atti pubblici redigevano ed alla fonetica, anche sostanzialmente diversa, dei nostri dialetti, e derivarono, nella massima parte dei casi, o dal nome proprio di quel personaggio che la Casata considera come Capostipite, o dalla Terra di origine, oppure da qualche soprannome, l'uso dei quali fu diffuso e comune nel Medio Evo.

Adamo, dal latino Adam, dall'ebraico "Adam", che propriamente significa, uomo, e che molti traggono dall'ebraico Adamoh, terra, polvere, cioè nato dalla polvere (homo ex hunc), in quanto si vuole fosse composto di creta e indi animato da Dio; forse raccogliendo e nobilitando la tradizione di altri popoli, che l'uomo primitivo, autoctono, sia stato, come tutte le altre creature organizzate, generate spontaneamente dalla terra.
Ma invece sembra che valga il rosso, ovvero tinta rossiccia, dalle radici Adam esser rosso (che è pure la base della voce Adamoh terra e proprio la rossa), detto del colorito umano; e che in seguito l'appellativo divenisse nome proprio. Di fatto la Genesi riporta parecchie volte sifatto appellativo col nome di uomo e uman genere, ed anche come nome proprio, preponendovi l'articolo (Ha'adam). Il Lancetti, come del resto anche il Crollalanza, sostengono che abbia avuto comune aguazione anche la Famiglia Adamoli.

Le memorie degli Adamoli sono antichissime, non risultando oltre il secolo XV. E' però certo che la Casata, sempre appartenne al ceto dei Mercanti. Infatti in una antica Matricola dei Commercianti Cremonesi troviamo registrato sotto l'anno 1453, Antonio e Agostino della parrocchia di S. Leonardo ed un Giovanni Pietro in vicinanza a S. Margherita, nel 1511; un Giovanni presso S. Vincenzo nel 1472, nonché un Gerolamo nel 1693. Giovan Battista, venne eletto alla altissima carica di Decurione, nel 1619, ed un Rodomonte fu uno dei notai del Collegio Cremonese. E' noto che le cariche pubbliche sono ordinariamente riservate ai soli nobili, ed alle persone di alto rango sociale, quindi si comprende di quale posizione privilegiata dovette essere la Casata. Tristi tempi, però; la Lombardia come le provincie meridionali, si trova oramai aggiogata al carro della Spagna. Se le lunghe guerre tra Francia e Spagna, hanno indebolito l'Italia, il Governo Spagnolo la manda addirittura in rovina. Infatti l'opera sua fu tutta e solamente intesa a costruire fortezze e caserme, senza curarsi di promuovere la ricchezza della popolazione.
Trascurata l'agricoltura, negletta l'industria, addirittura abbandonato il commercio. Viceré e Governatori manderanno in rovina l'Italia con la massima inconsapevolezza con cui il governo centrale mandava in rovina la Spagna. La nobiltà stessa, dimentica della propria tradizione, come la corsa pazza verso la miseria, sciupando con grande spensieratezza i resti degli antichi patrimoni. Ma non questa regola sembrano seguire i figli della nostra Casata, che, lungi dallo sperperare, accumulano, lungi dal poltrire nell'ozio, lavorando per sé e nell'interesse della Patria.
Giovan Battista che non sappiamo se possa identificarsi con quello già da noi ricordato, il 27 gennaio 1620 con testamento, rogato da Paolo Palamen, di cui si ha l'estratto nello "Istrumento di convenzione e classificazione" dell'Avvocato Cavalletti, fondò una dotazione annuale per due fanciulle bisognose della parrocchia si S. Leonardo. Dopo il 1600 si perdono quasi completamente le tracce della Famiglia in Lombardia; essa però sfuma certamente confusa fra il resto della popolazione e nella decadenza naturale e morale della regione. Più tardi, nel fervido periodo che prepara le guerre della Libertà e dell'Indipendenza d'Italia, i nomi tutti si fondono e si confondono in quello augusto della Patria.
Un ramo passò in Sicilia e giunse fino ai fastigi della nobiltà. L'origine Lombarda di essa è chiaramente attestata dal Mango di Casalgerardo nella sua opera fondata su materiale archivistico e condotta con serietà di metodo e di azione. Essa si stanziò in Messina, Caltagirone e Palermo donde si diramò in altre città dell'Italia. In Messina godè di nobiltà dal secolo XIII al secolo XVI. In Caltagirone vediamo ascritta alla Mostra nobile, Stefano, figlio di Marco Giacomo, figlio di Onofrio e Ferdinando, figlio di Giacomo; Onofrio e Michele di Carlo. In Palermo vediamo Giovanni che tenne l'alto ufficio di Giurato negli anni 1485-1486, 1489-1490. Il ramo che si fissò in Sciacca fu infeudato di Ferrara e Giardinello, feudi posti in Val Mazzara, in persona di Giuseppe per donazione di Clemenza Saglieva, sua madre, il 18 luglio 1744, agli atti di notaro Giacomo Schillaci di Sciacca, insinuato nella cura dei Giurati di quella città, il 20 maggio 1744. Sul feudo era appoggiato il titolo Baronale. A lui seguì Gerolamo, ancora minorenne, il quale fu investito nel 1751, come erede universale di Giuseppe suo padre; quindi il feudo passò in Casa Fat, perché Clemenza, ultima di sua stirpe sposò Federico Fat, il quale fu infeudato di Ferrare il 18 dicembre 1797.
Un altro ramo ancora risiedette in Canicatti e possedette i titoli di Barone di Monte Settani, di Barone di Grasta. Il titolo di barone di S. Maria di Spatera fu commutato in quello di Barone del Monte, per lettere patenti del 20 marzo 1757, e venne acquistato da Antonio il quale alla sua morte la trasmise al figlio Gaetano che fu investito, a cui successe la moglie di lui Caterina ed alla morte di costei Gaetano Giuseppe, figlio di Antonio e nipote di Giuseppe, fratello del sopradetto Gaetano, che ottenne l'investitura del titolo Baronale nel 1810. Il Ramo Siciliano conserva il vecchio nome di Adamo di Adami.

Ma alla storia gloriosa del nostro Risorgimento politico sono legati i nomi di figli della Casata. Domenico, nato a Varese nel 1813, ricco di censo, ma più ricco di patriottismo, si adoperò fin da giovanetto per la causa Italiana e la sua Casa aperse a tutti gli esuli. Ammogliato ad una donna bellissima e devota essa pure alla Patria, Lucia Prinelli di Milano, nata nel 1818 e morta a Besozzo nel 1864; fu amicissimo di Garibaldi che ospita varie volte ed anche in due momenti importantissimi, nel 1862 e nel 1806 alla vigilia del fatto di Aspromonte e della guerra del Veneto.
Insieme al figlio Giulio partecipò alla guerra del 1859, mentre la moglie attendeva a preparare bende e filacce per i feriti. Nel 1866 appartenne allo Stato Maggiore di Garibaldi, e nel 1867 seguì nuovamente il suo generale nell'Agro Romano. Ma più che sui campi di battaglia, egli fece bene circondando di cure affettuose i suoi compaesani, che lo chiamavano confidenzialmente "Domeneghin" e lo consideravano come padre. Morì in Besozzo il 17 maggio 1876. Giulio, nato a Besozzo il 29 febbraio 1840; figlio, come abbiamo veduto, di Domenico, studiò matematica a Pavia, ove mostrò la sua attività patriottica cospirando coi Cairoli e un Graziotti.

Nel 1859 si arruolò a Torino nel 1° reggimento Granatieri, col quale si battè a S. Martino. Finita la guerra, dopo un breve corso di studi militari, fu nominato sottenente il 10 gennaio 1860; ma non contento della vita di caserma rassegnò le sue dimissioni; ed il 10 maggio 1860 partì per la Sicilia con la spedizione di Agnetta. A Palermo fu nominato luogotenente nella terza compagnia del III battaglione Turr. A Caltanissetta fu aggregato allo Stato Maggiore, e seguì le sorti della sua brigata in Sicilia ed in Calabria sino a Cosenza, ove fu colto da perniciosa che lo tenne inerte sino al 7 settembre. Raggiunse allora il suo corpo a Caserta e si battè a S. Lucia e Sant'Angelo. Finita la guerra, non volle rientrare nell'esercito e si dedicò all'ingegneria. Addetto ai lavori della Ferrovia Milano Pavia, ebbe notizia della spedizione di Garibaldi per Roma; onde il 5 agosto 1867 partì da Genova sul "Perseverante", raggiunse il Generale in Regalbuto il 17, fu mandato a parlamentare col maggiore Galbois che lasciò libero il passo. Sfuggito alle truppe Regie ad Aspromonte, tornò in seno alla famiglia. Nella guerra del 1866 fu dal Castellini nominato Capitano della seconda compagnia del 2° Battaglione e partecipò allo scontro di Vezza d'Oglio, dove sorpreso allo sbarco di una gola da un manipolo di Austriaci che gli intimarono la resa, poté col suo coraggio personale condurre in salvo i propri soldati. Nel settembre 1867, dopo aver partecipato con Garibaldi al congresso della pace a Ginevra, andò a Roma d'intesa col Cucchi, per prepararvi l'insurrezione, e di qui si recò in Lombardia a raccogliere fondi e i mezzi necessari alla campagna dell'Agro Romano, alla quale prese parte personalmente combattento a Mentana. Terminato il periodo della guerra intraprese dei viaggi scientifici in Asia, ed incoraggiò le spedizioni africane di Antinori, gessi e Matteucci. Nel 1874 venne eletto deputato senatore. Fu anche sottosegretario al ministro degli esteri e rappresentante dell'Italia alla commissione internazionale per il debito pubblico in Egitto. Raccolse le sue memorie autobiografiche nel bellissimo libro: "Da San Martino a Mentana" che ha avuto l'onore di varie edizioni. Morì al Cairo il 25 dicembre 1926.

Una famiglia Adamoli fiorì in Indovero, Val Sassina. Ivi Ser Antonio quondam Bontempo, figura nel 1476. Nel 1550 si citano fra i proprietari di terre. Nel 1636 Giuseppe servì alla fabbrica del Castello di Lecco. Uscirono da questa famiglia vari sacerdoti. Giacomo, parroco di Pagnano nel 1576, Giuseppe di Cassano, 1747; Bartolomeo in Indovero nel 1797. Una ramificazione passò in Torino nel 1742, ed una in Belluno, nel secolo scorso. Per oculatezza di indagini dobbiamo ricordare che altre Casate omonime fiorirono in Sarno, in Venezia, in Piemonte, ma esse usarono di stemma diverso, ed in sede di ricerca storica non possiamo asserire se esse discendono da uno stesso ceppo. Attese quindi l'antichità delle origini, la nobiltà del ramo Siciliano derivazione diretta del Lombardo come anche è provato dall'identità dello stemma, risalente di figlio in padre, dai viventi ai lontani trapassati e ricollegate fra loro i vari rami. Solo un tal nesso gli attuali rappresentanti della Casata, potrebbero eventualmente esser messi in grado di richiedere, con le opportune pratiche presso il R. Governo, la reintegrazione in quei diritti ed in quei privilegi di cui goderono gli avi. Così la famiglia sarebbe certa di avere assolta al suo Maggior dovere d'Italianità, quello di numerosi esempi da seguire ed imitare. Come infatti operarono i Padri nel ristretto cerchio delle mura cittadine o regionali, così da quell'esempio spinti opereranno i figli nel nome e per il bene dell'Italia che, dalle virtù delle singole stirpi, ha sempre tratto motivi di speranza ed auspici di grandezza avvenire.

Ufficio di Consulenza Araldica
Firenze

Il Direttore
f.to M. Sichi

Arma: Interrato in fascia, nel 1° di rosso del leone d'oro, nel secondo d'oro e nel terzo d'argento a tre stelle d'argento 1-2



Bibliografia


G.B. di Crollalanza - Dizionario storico blasonico Italiano
Vittorio Spreti - Enciclopedia storico nobiliare Italiano
Lancetti - Biografie Cremonesi
Archivio Storico Lombardo
Gaetano Meroni - Dizionario di eradizione storico ecclesiastica
Antonio Mango di Casalgerardo - Il Blasonario di Sicilia
Giornale Araldico Italiano
Rivista del Collegio Araldico Romano
Tettoni e Saladini - Teatro araldico Italiano
Garollo - Dizionario biografico universale
De Giubiatis - Dizionario degli artisti viventi


Adamoli - Notevole famiglia di antica origine Normanna. Prime memorie di essa risalgono ad un Goffredo, capitano d'arme, che dovendo condurre la terza spedizione in terra-santa affidò alle cure di tal Luciano scudiero maggiore di re Ladislao due giovanetti suoi figli, Manfredo e Roberto (1386). Non avendo più fatto ritorno detto Goffredo crebbero i due giovani addestrandosi nel maneggio delle armi. Ignorando egli il proprio casato d'origine chiesero ed ottennero nel 1394 di chiamarsi Adamoli e l'arme sopradescritta. I discendenti prestarono importanti servizi militari alla casa della Romana Chiesa ed alla casa Colonna in Roma dove fiorirono per ricchezze ed onori nei secoli XIV e XV. Nel 1570 ebbero a soffrire la persecuzione del S. Ufficio onde i loro beni vennero confiscati. Si rifugiarono nel Lombardo-Veneto dando luogo a tre rami distinti. Il primo sparso in Milano e provincia si diramò anche in Ferrara e continua oggi nell'Italia centrale, il secondo stabilivasi a Palermo, un terzo si estinse in Roma con Maria Adamoli superiora delle Certosine 1810.

Arma: D'azzurro all'albero di pomi su pianura erbosa addentrato da un serpente in atto di dentare un pomo. Corona patrizia


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